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Ambiguità e forza della categoria di «compassio» in
teologia e mariologia
di
Carmelo Dotolo |
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1 Luogo comune o luogo teologico?
La domanda di fondo che si affaccia
con tutta la sua complessità, è se la compassione
possa costituire una categoria teologica in grado di
aprire e allargare lo spazio semantico dell’evento
cristiano. Ad un primo sguardo, infatti, tale termine
rientra nel lessico teologico familiare dell’amore(1)
nelle sue differenti varianti e sfumature, quali misericordia(2),
tenerezza, bontà, etc.. Ciò porterebbe
a concludere ad una non-novità sostanziale della
categoria compassione rispetto al deposito di significato
presente nei concetti corrispondenti. Eppure, sebbene
la categoria compassione si inscriva nella riflessione
teologica dell’amore come snodo teoretico ed etico
del Nuovo Testamento, essa sembra essere indicativa di
un di più di senso, non solo rinvenibile
nella sua radice etimologica, ma ascrivibile anche al
particolare contesto che connota tale categoria.
Una prima considerazione fa riferimento all’orizzonte,
proprio dell’Antico Testamento, del pathos di
Dio, come ricorda un famoso studio di A.J. Heschel.(3)
Si tratta di “una connotazione teologica indicativa
del coinvolgimento di Dio nella storia”(4),
nel quale la libertà divina si esprime in modo
transitivo, cioè in una relazione dinamica, segnata
dalla preoccupazione per l’uomo. Dio, in fondo,
non è mai neutrale, e gli avvenimenti storici
toccano lo stesso Dio che interviene suscitando libertà responsabili. Pertanto, “l’idea
del pathos divino, che unisce l’assoluto altruismo
con la suprema sollecitudine per i poveri e gli sfruttati
difficilmente può essere considerata come un’attribuzione
di caratteristiche umane”.(5)
Proprio per questa particolarità, il pathos mostra
anche l’alterità e la differenza qualitativa
del Dio dell’alleanza(6),
a significare che l’identità di Dio sta
nella sua prossimità ad-vocata, chiamata
in causa da situazioni che appellano alla gratuità della
sua misericordia. E tale pathos rappresenta
la promessa che il futuro della storia è nel costante
avvento di Dio che istituisce una tensione tra l’orizzonte
delle attese umane e le prospettive di una esistenza
sovente conflittuale e problematica. D’altra parte,
la stessa concezione veterotestamentaria di hesed è strettamente
congiunta all’idea di fedeltà alla promessa
di un’alleanza sempre da ricostruire e, di conseguenza,
da una disponibilità alla ricerca dell’Altro
e degli altri dimentica di se stessa. Ciò che,
però, risulta essere determinante nell’evento
dell’amicizia e della compassione, è l’impegno
per la vita dell’altro che comporta il coinvolgimento
totale del soggetto della hesed.(7)
E’ in gioco la qualità dell’amore,
l’impegno di Dio per la vita intera dell’uomo.
La decisività di tale connotazione teo-logica
si esprimerà nei predicati divini che attraverseranno
la liturgia e la spiritualità d’Israele:
Dio è compassionevole e fidato; è un Dio
che si prende cura degli uomini; è un Dio di uomini,
amante della vita.
Una seconda sottolineatura trova il suo contesto vitale
nella centratura cristologica della compassione e nella
sua valenza etica e teoretica. Sembra, cioè, dispiegarsi
come principio interpretativo della kenosi,
individuandone alcuni tratti decisivi e normativi per
la comprensione dell’identità di Gesù.
Non sorprende, dunque, che nella narrazione neotestamentaria,
l’attribuzione della compassione all’ethos cristologico(8)
non è semplicemente
funzionale alla presentazione di un modello-di stile
di vita particolare, ma mostra una condizione imprescindibile
per l’ermeneutica della novità della rivelazione. “Trova
invece rispondenza nella predicazione di Gesù il
risalto dato alla pietà umana, istanza di prim’ordine
per chi voglia accettare la signoria di Dio”.(9) Sta
qui il senso originario dell’ethos, laddove presenta
un’urgenza non procrastinabile, per il fatto che
riguarda le questioni fondamentali del vivere dell’uomo,
nella quotidiana ricerca di senso tra la banalità del
male e il desiderio del bene. Tra etica e concezione
della vita c’è un legame molto stretto.
Per questo esse sono lette in relazione al Regno(10)
che ne costituisce l’orizzonte normativo, nel momento
in cui afferma che la vita è il valore unico dinanzi
al quale qualsiasi precetto o culto passano in secondo
piano. La fenomenologia della compassione nella logica
del Regno apre una breccia nella storia umana, sovente
chiusa nella ripetitività oltraggiosa dell’indifferenza,
della violenza, dell’emarginazione. Ovunque l’eccedenza
di amore e la potenza del bene fanno indietreggiare il
negativo e il male, il Regno si fa presente, perché è in
coloro che sanno com-patire che la storia della salvezza
avanza. “L’eccesso della loro giustizia o
del loro amore scaturisce dalla loro passione per gli
altri e per Dio”.(11)
Una terza considerazione, va individuata in un’indicazione
ermeneutica di J.B. Metz, il quale nel tratteggiare un
programma mondiale per un cristianesimo in grado di provocare
la storia, sente l’esigenza di ricorrere ad una
parola straniera Compassion al posto di Mitleid (Pietà),
in quanto quest’ultima suona troppo sentimentale,
impolitica, ipermoralizzante gli stati sociali. E scrive: “io
concepisco questa compassione come sofferenza-con, come
partecipe percezione del dolore altrui, come pensiero
attivo della sofferenza degli altri, come tentativo di
vedersi e valutarsi con gli occhi degli altri, degli
altri sofferenti”.(12)
L’intuizione che la compassione vada oltre una performance virtuosa,
si fonda sul fatto che in essa si cela una valutazione
e una presa d’atto di ciò che minaccia l’altro
e il suo bene, sulla base del principio del coltivare
l’umanità comune come priorità inderogabile.
In tal senso, la compassione rompe un modo autoreferenziale
di guardare e rapportarsi alla storia degli uomini e
delle donne, perché appella alla memoria pericolosa della
vicenda di Gesù, in grado di oltrepassare qualsiasi
consenso etico minimo, pur di liberare l’uomo nel
suo concreto bisogno.(13)
Di fronte ad un panorama semantico così complesso,
si può ipotizzare che la categoria compassione
porti, nella sua dinamica ortopratica, la consapevolezza
dell’illusorietà e parzialità dell’autoliberazione
emancipatrice, ma anche la convinzione che il cristianesimo
lotta perché le costanti antropologiche che rendono
sensata l’esistenza siano al centro delle strategie
di giustizia e solidarietà. Di certo, la compassione
segnala che non è possibile vivere di programmi
ideologici, proprio perché la storia della libertà è anche
storia di sofferenza,(14)
di ricerca di una riconciliazione che osa ciò che
potrebbe apparire l’inutile e l’impossibile.
E’ questo il nucleo del Vangelo che alimenta la
promozione di ogni bene e chiede alla prassi cristiana
di essere la manifestazione dell’essere di Dio
per ogni uomo, il cui amore è scelta di esistere
per gli altri.
L’ipotesi che si vuole suggerire, pertanto, è che
la compassione è, in definitiva, un luogo teologico
particolare e non un usurato luogo comune, nel quale
individuare un possibile modello cognitivo della
realtà che non giustifica nessuna deroga
dinanzi al compito di liberazione e di costruzione della
felicità.
(tutto
il testo è disponibile in formato pdf)
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Note: |
1. Cf. quanto annota C. SPICQ, «?γ?πη»,
in Notes de Lexicographie néo-testamentaire,
I, Editions Universitaires- Vandenhoeck & Ruprecht,
Fribourg-Göttingen 1978, 19: “A le différence
des autres amours qui peuvent rester cachées dans
le cœur, il est essentiel à la charité de
se manifester, de se démontrer, de fournir des
preuves, de s’exiber”. Si tratta di un linguaggio
relazionale, simbolicamente denso, come evidenzia P.
GRELOT, Il linguaggio simbolico nella Bibbia. Ricerca
di semantica e di esegesi, Borla, Roma 2004, 158-160;
180-183.
2. Cf. quanto scrive R. FISICHELLA, La via della verità. Il mistero
dell’uomo nel mistero di Cristo, Paoline Editoriale Libri, Milano
2003, 185: “Misericordia è una parola densa di significato. Possiede
una sua peculiarità propria che ne permette l’identificazione e
il riconoscimento e non può essere confusa con altre forme similari. Non è esagerato
affermare che con il concetto di misericordia si raggiunge una delle espressioni
più alte della rivelazione cristiana”. Per una riflessione che intersechi
livelli disciplinari diversi cf. M. MANTOVANI, «Eleos tra «vecchie» e «nuove» categorie»,
in M. MARIN - M. MANTOVANI (edd.), Eleos: «l’affanno della ragione» fra
compassione e misericordia, LAS, Roma 2002, 265-298. Da un punto di vista
della riflessione mariologica cf. P. G. DI DOMENICO – E. PERETTO (edd.), Maria
Madre di misericordia. Mostra te esse matrem, EMP, Padova 2003. 3. A. J.
HESCHEL, Il messaggio dei profeti, Borla, Roma 1983.
4. HESCHEL, Il messaggio, 12. Cf. 353-357.
5. HESCHEL, Il messaggio, 71.
6. J. MOLTMANN,L’esperimento speranza. Introduzioni, Queriniana,
Brescia 1976, 97, parla, a proposito dell’opera di Heschel, di una teologia
bipolare dell’alleanza,. Scrive: “Dio è libero in se
stesso e nel contempo prende parte all’alleanza. Qui è implicata
una seconda polarità: la simpatia dell’uomo risponde al pathos di
Dio”.
7. Si vedano le pagine molto intense di E. SCHILLEBEECKX, Il Cristo la storia
di una nuova prassi, Queriniana, Brescia 1980, 95-105. Cf. H. J. STOEBE, «h?sed
BONTÁ», in E. JENNI – C. WESTERMANN (edd.), Dizionario
Teologico dell’Antico Testamento, I, Marietti, Torino 1978, 520-539;
M. CIMOSA, «Il linguaggio biblico (ebraico, greco e latino) dell’amore
e della misericordia divina», in MARIN - MANTOVANI (edd.), Eleos: «l’affanno
della ragione», 197-213.
8. Cf. le riflessioni di .R. SCHNACKENBURG, Il messaggio morale del Nuovo
Testamento 1 Da Gesù alla chiesa primitiva, Paideia Editrice,
Brescia 1989, 108-119.
9. SCHNACKENBURG, Il messaggio morale, 112.
10. Per uno status quaestionis cf. W. SCHRAGE, Etica del Nuovo Testamento,
Paideia Editrice, Brescia 1999, 15-51. Lo stesso autore pur ricalcando la difficoltà di
trovare un centro unitario dell’etica neotestamentaria, sottolinea che
l’amore rappresenta il leit-motiv strutturante (cf. 406-415).
Ora, proprio, tale difficoltà sembra esigere un incremento di riflessione
circa lo specifico dell’amore come ethos, rinviando alla forma
che ad esso dà la predicazione e la prassi di Gesù. Seppur le analogie
possano apparire precarie e deboli (cf. le annotazioni N. LOHFINK, Le
nostre grandi parole. L’Antico Testamento su temi di questi anni,
Paideia Editrice, Brescia 1986, 259-276), è ipotizzabile individuare nella
forma cristologia dell’amore un senso particolare e indifferibile, come
annota D. MIETH, «Teologia ed etica. Lo specifico cristiano»,
in J. P. WILLS - D. MIETH (edd.), Concetti fondamentali dell’etica
cristiana, Queriniana, Brescia 1994, 298. Cf. anche C. THEOBALD, «“Dio è relazione”.
A proposito di alcuni approcci recenti del mistero della Trinità»,
in Concilium 37 (2001) 62-78; W. GUGGENBERGER, «Herausfordernde
eckpunte Einer Disziplin», in W. GUGGENBERGER – G. LADNER (edd.), Christlicher
Glaube, Theologie und Ethik, Lit Verlag, Münster – Hamburg – London
2002, 15-24.
11. C. DUQUOC, “Credo la Chiesa”. Precarietà istituzionale
e Regno di Dio, Queriniana, Brescia 2001, 315.
12. J. B. METZ, «Proposta di programma universale del cristianesimo
nell’età della globalizzazione», in R. GIBELLINI (ed.), Prospettive
teologiche per il XXI secolo, Queriniana, Brescia 2003, 395. Cf. il commento
di A. AUTIERO, «Su Metz: riflessioni etico-teologiche», in Studia
Patavina 48 (2001) 285-287.
13. Annotazioni in proposito in H. HAKER, «”Compassione” come
programma mondiale del cristianesimo?» in Concilium 37 (2001) 77-97; A.
TONIOLO, «Unità della famiglia umana, compassione e solidarietà»,
in CredereOggi 24 (2004) 83-96.
14. Cf. ancora J. B. METZ, «Redenzione ed emancipazione», in Redenzione
ed Emancipazione, Queriniana, Brescia 1975, 152-177.
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