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La
centralità del soggetto
persona nel magistero di Giovanni Paolo II
Carmelo Dotolo |
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1.Significato di una svolta.
Il filosofo ebreo M. Buber scriveva: «Io
distinguo nella storia del pensiero le epoche in cui
l’uomo possiede una sua dimora (Epochen der
Behausteit) dalle epoche in cui egli ne è senza
(Hauslosigkeit). Nelle prime, l’uomo abita
nel mondo come se abitasse una casa, nelle altre, egli è come
se vivesse in aperta campagna e non possedesse neppure
i quattro picchetti per innalzare una tenda. Nelle prime,
il pensiero antropologico esiste solo in quanto è una
parte del pensiero cosmologico; nelle seconde, il pensiero
antropologico conquista la sua profondità e, con
questa, la sua indipendenza» (1).
Se c’è una caratteristica che ha attraversato
il Novecento è senza dubbio l’affermazione
della centralità dell’uomo nella sua soggettività,
sebbene sulla linea di una indipendenza che ritematizza
la domanda sullo specifico dell’ humana conditio.
E’, forse, questa una delle questioni che sembrano
misurare la qualità dei processi di autocomprensione
della storia umana, a tal punto che la riflessione filosofica
e teologica individua nei dinamismi dell’antropologia
una svolta teoretica inoltrepassabile. Senza
entrare nel merito degli esiti interpretativi, è proprio
l’attenzione filosofica alla storicità dell’uomo,
interprete di un pensiero all’altezza dell’umanità dell’uomo,
a provocare in particolare la teologia, chiamata alla
rilevanza per le domande della cultura contemporanea.
Come osserva J. Alfaro: «Di qui l’importanza
d’una antropologia filosofica che renda intelligibile
il modo di porsi della fede come compimento autentico
dell’essere dell’uomo e che realizzi il nucleo
del messaggio cristiano con quanto l’uomo porta
e vive nel più profondo di se stesso. E’ questa
la antropologiche Wende [svolta antropologica]
di K. Rahner, non come riduzione del messaggio cristiano
all’autocomprensione dell’uomo (Bultmann),
ma come tentativo di comprendere la rivelazione cristiana
nella sua non derivabile originalità (trascendenza)
e la sua corrispondenza a quanto l’uomo vive e
conosce di se stesso» (2) .
Eppure, una tale svolta, sovente affermata con intensità emotiva,
sembra rischiare una pericolosa inversione di marcia,
in una sorta di ripiegamento della riflessione su circuiti
di progressivo decentramento della questione antropologica.
L’afflato postmoderno (3) di
una pluralità di paradigmi e visioni del mondo,
alimenta il dubbio che si sia spostato il baricentro
della riflessione antropologica, intendendo cogliere
l’uomo e la sua identità in riferimento
più all’appartenenza di genere che non alla
sua differenza. Se tale slittamento è percepibile
come legittimo, nondimeno alimenta il sospetto di trovarci
di fronte ad un boomerang teoretico, la cui
portata concettuale non è ancora stata soppesata
sufficientemente. «In un mondo dove gli oggetti
durevoli sono sostituiti da prodotti destinati all’obsolescenza
immediata, l’individuo senza più punti di
riferimento o luoghi di ancoraggio per la sua identità,
perde la continuità della sua vita psichica, perché quel
senso costante che è alla base della propria identità si
dissolve in una serie di riflessi fugaci, che sono le
uniche risposte possibili a quel senso diffuso di irrealtà che
la tecnica diffonde come immagine del mondo» (4) .
In definitiva, non è lungi dal vero l’affermazione
che la contemporaneità postmoderna ha allestito
un progetto di decostruzione dell’uomo
o, quantomeno, di alcune sue tipologie, quasi a voler
sancire, dopo la morte di Dio, l’inutilità della
domanda antropologica (5).
Appare evidente la progressiva marginalità del
concetto uomo all’interno di un mondo che esplora
i sentieri inediti dell’intelligenza computerizzata,
del robot «che non ha bisogno di
alcuna memoria perché non è minacciata
da alcun oblio, né ha bisogno di una lingua personale
perché il suo funzionamento è ‘soffice’ e
senza contraddizioni, dunque un’intelligenza senza
storia, senza il travaglio della sofferenza e senza morale,
un’intelligenza che si sente al riparo da ogni
crisi, in breve la rapsodia, fissata nella macchina dell’innocenza» (6) .Il
che esige senza dubbio un ripensamento della questione
uomo (7).
All’interno di tale prospettiva va letto l’apporto
dell’antropologia teologica, accanto alle letture
antropologiche della contemporaneità affaticate
nella delineazione di ciò che è proprio
dell’uomo, Al di là delle differenti opzioni
teoretiche che, talora, pongono in evidenza prospettive
ermeneutiche non necessariamente divergenti (8),
si deve convenire che quella che è stata definita
come anthropologische Wende (9) costituisce
uno degli orizzonti decisivi per la lettura della novità del
cristianesimo in ordine alla autocomprensione dell’uomo.
Anzi, si può sostenere che la prospettiva antropologica
segnala alla teologia l’urgenza di ri-fare costantemente
e criticamente «il processo di comprensione che
si produsse all’interno della storia della rivelazione
e della interpretazione di essa da parte della tradizione
ecclesiale»(10).
In tale contesto, vanno colti i tentativi di ripensamento
della teologia in relazione al proprium maieutico
della rivelazione che è «rivelazione della
salvezza»(11),
offerta di senso alla ricerca umana e paradossale proposta
di un «umanesimo cristiano»(12).
Non si tratta di un progetto che sottrae l’uomo
al compito stesso del divenire-uomo, al rischio di una
avventura interpretativa che, consapevole delle passioni
del finito, elabori un modello antropologico al riparo
dal permanente dislivello del suo compito ontologico.
L’umanesimo cristiano, piuttosto, contrassegnato
dal paradigma della trascendenza, apre il varco ad una
trasfigurazione dell’uomo, perché il progetto
cristiano pone interrogativi all’esser-ci dell’uomo,
convocandolo nella prospettiva del Regno di Dio.
Senza cadere nella esasperazione di un soggettivismo
teologico, sono condivisibili le intuizioni bultmanniane
secondo le quali il cristianesimo è appello all’autenticità di
una Entscheidung, di una decisione che porta
l’uomo a giocare la sua identità nell’alterità dell’esistenza.
Una identità che percepisce il rischio presente
nel dono della verità rivelata e che si sente
provocata al trasgredire la seducente maschera del proprio
io. Per questo, l’antropologia teologica assume
la questione dell’uomo non ai margini delle sue
scelte, ma nel paradossale centro della sua natura, paradossale
in quanto chiamato a farsi interprete del mistero dell’esistenza. «L’uomo è autenticamente
in se stesso e nei suoi rapporti con altri nella misura
in cui sa porsi a distanza da se stesso, sapendo di valere
soltanto come maschera di Dio, come campo in
cui può risuonare la voce infinita dell’Altissimo» (13) .
E’ nella categoria di persona(14) che
la riflessione teologica coglie una intenzionalità rivelativa
dell’essere dell’uomo, l’originaria
vocazione che dice l’irripetibilità del
cammino di ogni uomo nel suo debito ontologico(15).
E’ nella scia di questa attenzione che si staglia
la riflessione di Giovanni Paolo II sia a livello filosofico
sia sul versante della teologia. E’ emblematico
il fatto che l’inizio programmatico del suo pontificato
sia simbolicamente espresso nella centralità ontologica
e assiologia dell’uomo, come evidenzia l’intero
tracciato dell’enciclica Redemptoris hominis (=RH)
del 1979 il cui filo conduttore è quello di «non
rimanere insensibile a tutto ciò che serve al
vero bene dell’uomo, così come non può rimanere
indifferente a tutto ciò che lo minaccia» (nn.
13-14). Tale intenzionalità si esprime nella tensione
analitico-dialogica della situazione contemporanea, che
esige una inesausta ermeneutica delle visioni del mondo,
soprattutto nei luoghi ideologici nei quali l’impulso
alla libertà confina con l’oblio dei processi
di liberazione e promozione in grado di rispondere alla «vera
dignità dell’uomo» (n. 16). Pur in
una dichiarata referenzialità cristologica, l’ermeneutica
dell’essere dell’uomo costituisce un crocevia
della riflessione teologico-pastorale di Giovanni Paolo
II, per il fatto che nella cura all’uomo e al suo
cammino di ricerca è depositata il futuro della
storia e del mondo, sovente raggirato dai miti di una
autonomia progettuale che non deve rendere conto al alcunché. «Non
si tratta qui soltanto di dare risposta astratta alla
domanda chi è l’uomo; ma si tratta di tutto
il dinamismo della vita e della civiltà» (
n. 16).(16)
(tutto
il testo è disponibile in formato pdf) |
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Note: |
1. M. BUBER, Il problema dell’uomo,
Torino 1983, 35.
2. J. ALFARO, Rivelazione cristiana, fede e teologia,
Brescia 1986, 144. Cf. anche B. FORTE, «La persona
come essere di domanda e di trascendenza: Lévinas,
Rahner, Mounier», in A. PAVAN (ed.), Dire persona.
Luoghi critica e saggi di applicazione di un’idea, Bologna 2003, 49-76.
3. Un aggiornato status quaestionis in A. SABETTA, Rivelazione
cristiana, modernità, postmodernità,
in G. LORIZIO (ed.), Teologia
Fondamentale 3. Contesti, Roma 2005, 127-169. Ulteriori riflessioni
in E. SCOGNAMIGLIO, Ecco, io faccio nuove tutte le cose. Avvento di Dio,
futuro dell’uomo e destino del mondo, Padova 2002, 371-446; L. MEDDI, Missione
e pratica formativa. Punti fermi e aspetti da approfondire, in “Redemptoris
missio” 21 (2005) 5-31; U. SARTORIO, Eclissi del «luogo» e
crisi delle «radici della fede». Per una lettura del contesto contemporaneo
dell’annuncio evangelico, in ID. (ed.), Annunciare il Vangelo
oggi: è possibile?, Padova 2005, 113-156.
4. U. GALIMBERTI, Psiche e teche. L’uomo nell’età della
tecnica, Milano 1999, 613.. Una introduzione suo pensiero
in M. L. PULITO, L’origine del dualismo anima e
corpo secondo Umberto Galimberti, in P. GILBERT (ed.), La
terra e l’istante. Filosofi italiani e neopaganesimo,
Soneria Mannelli 2005, 71-88.
5. Un utile excursus si può trovare in P.
GIUSTINIANI, La svolta liberalistica della soggettività nel
pensiero e nella cultura odierni: origine, causa, espressioni,
in M. COZZOLI (ed.), La soggettività tra individualità e
personalismo, Roma 1996, 15-56. Per una visione storico-filosofica
cf A. BRUNO (ed.), La crisi del soggetto nel pensiero
contemporaneo, Milano 1988; G. SEVERINO (ed.), Il
destino dell’io, Genova 1994.
6. J.B. METZ, Il cristianesimo e il soggetto dell’illuminismo,
in “Filosofia e Teologia” 3 (1989) 465.
7. Scrive C. CALTAGIRONE, L’umanità dell’uomo.
Sondaggi antropologici tra scienza e filosofia, Caltanissetta
2004, 30: «Un’antropologia fondamentale trova
il suo campo di indagine privilegiato nella ricerca di che
cosa nell’uomo costituisce un problema. Ogni antropologia
pertanto si trova impegnata a definire che è l’uomo,
prendendo in considerazione tutte le dinamiche che lo costituiscono
e lo definiscono. Ogni antropologia, in questo senso, deve
necessariamente trattare dell’uomo nella sua globalità,
per comprenderne il suo senso e il suo esistere nel mondo»
8. Si può vedere quanto osserva H.U. von BALTHASAR, Solo
l’amore è credibile, Roma 1991, 33-51.
9. Il riferimento d’obbligo è a K. RAHNER, Teologia
e antropologia, in Nuovi Saggi III,
Roma 1969, 45-72.
10. J. ALFARO, Rivelazione cristiana, 161.
11. K. RAHNER, Teologia e antropologia, in Nuovi
Saggi III, Roma 1969, 55. Cf. anche E. SALMANN, Presenza
di spirito. Il cristianesimo come gesto e pensiero,
Padova 2000, 151-171.
12. K. RAHNER, Umanesimo cristiano, in Nuovi
Saggi III, Roma 1969, 279-304. Cf. anche B. FORTE, Dove
va il cristianesimo?, Brescia 2000, 114-132; W. KASPER, Teologia
e Chiesa 2, Brescia 2001, 217-224; P. SEQUERI, Sensibili
allo spirito. Umanesimo religioso e ordine degli affetti,
Milano 2001, 45-78; L. F. LADARIA, La antropología
cristiana como propuesta de un nuevo umanismo, in ISTITUTO
TEOLÓGICO COMPOSTELANO, Antropología y
fe cristiana. IV Jornadas de Teología, Santiago
de Compostela 2003, 192-221.
13. V. MELCHIORRE, Persona ed etica, in ID (ed.), L’idea
di persona,Milano 1996, 162.
14. L’importanza di tale categoria è abbondantemente
attestata nella storia della teologia e filosofia. Cf. J.
RATZINGER, Zum Personenverständnis in der Theologie,
in Dogma und Verkündigung, München-Freiburg
1973, 205-223; A. MILANO, Persona in teologia. Alle
origini del significato di persona nel cristianesimo antico,
Napoli 1985; ID., Persona, in G. BARBAGLIO – G.
BOF – S. DIANICH (edd.), Teologia, Cinisello
Balsamo 2002, 1138-1157; H.U. von BALTHASAR, Sul concetto
di persona, in Homo creatus est. Saggi teologici V,
Brescia 1991, 101-110; M. BORDONI, Il contributo della
categoria teologica di persona, in “Lateranum” 58
(1992) 47-74; J. GALOT, La définition de la personne,
relation et sujet, in “Gregorianum” 74 (1994)
281-299; E. BUENO DE LA FUENTE, La «persona» en
perspectiva teológica, in J.J. FERNÁNDEZ
SANGRADOR - O. GONZÁLEZ DE CARDENAL (edd.), Coram
Deo. Memorial Prof. Dr. L. Luis Ruiz de la Peña,
Salamanca 1997, 329-344; G. COLZANI, Antropologia teologica.
L’uomo: paradosso e mistero, Bologna 1997, 362-390;
400-405; A. BERTULETTI, Il concetto di persona e il sapere
teologico, in V. MELCHIORRE (ed.), L’idea
di persona, 3-31; I. SANNA, Il fondamento teologico
della persona umana, in N. CIOLA (ed.) Servire Ecclesiae.
Miscellanea in onore di Mons. Pino Scabini, Bologna
1998, 261-284.
15. Si vedano M.M. OLIVETTI, La persona come debito
ontologico, in “Protestantesimo” 51 (1996)
174-182; L. SENTIS, Penser la personne, in "Nouvelle
Revue Théologique" 116 (1994) 679-700; 862-873.
16. Per un inquadramento cf. M. SERRA, Il progetto uomo,
oggi nel pensiero di Giovanni Paolo II, in ASSOCIAZIONE
TEOLOGICA ITALIANA, Teologia e progetto-uomo in Italia.
Atti dell’VIII Congresso nazionale, Assisi 1980, 252-267;
F. MORENO, La verdad sobre el ombre en e Magisterio
de Juan Pablo II, in “Scripta Theologica” 20
(1988) 681-708. |
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