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La dinamica culturale della fede
di Carmelo Dotolo

1 Il significato culturale dell'evangelizzazione

Una delle acquisizioni della riflessione teologico-pastorale e della tradizione della Chiesa, è il fatto che l'annuncio della novità cristiana vive una paradigmatica parabola: da un lato, il Vangelo si caratterizza per una capacità inedita di provocare l'uomo e le sue visioni della vita e della storia; dall'altro, sembra sottoposto ad una strana emarginazione negli orizzonti culturali e antropologici, nel momento in cui intende apportare uno stile di vita, una modalità di pensiero e un progetto etico che urta gli schemi consolidati e le strutture che organizzano e gestiscono il quotidiano. Tale situazione si è andata delineando sin dagli inizi del processo di evangelizzazione: «il rapporto del Vangelo con la cultura è antico quanto il cristianesimo e fu affrontato già dalle prime generazioni cristiane, venendo a contatto con il mondo greco-romano. Era normale che i neofiti si interrogassero: fino a che punto condividere i modi di vivere e di pensare della società che ci circonda?»(1). In tale prospettiva, è certamente indicativa l'esperienza di Paolo nell'Areopago ateniese (At 17, 22-31)(2) in cui si percepisce come il movimento iniziale dell'annuncio del kerygma diventa ricco di senso ed efficace nel momento in cui è capace di aprire la cultura alla meraviglia e alla diversità dell'evento della rivelazione di Dio in Gesù Cristo. Ma, al tempo stesso, emerge tutta la difficoltà che tal evento produce, quando chiama l'uomo ad una rilettura dei propri orizzonti di riferimento. Non è casuale, come si legge nella parte finale del discorso, il rifiuto di una novità sconcertante che sembra porre in questione la stessa impostazione della religiosità e della filosofia presenti in Atene, a tal punto da evitare il confronto con il Vangelo o da ritenerlo ridicolo e inadeguato a rispondere alle esigenze culturali della ricerca umana.

Ebbene, è proprio la dinamica interculturale, seppur delicata e fragile, a richiedere all'evangelizzazione il farsi dialogo , compagnia degli uomini , quale espressione che definisce l'apporto del cristianesimo alla storia. La dimensione culturale dell'evangelizzazione richiede, infatti, la capacità di imparare ad esercitare la grammatica umana di base , per poter testimoniare il Vangelo come proposta di vita. Già, perché la cultura non è frutto di un'immediata comprensione delle differenze antropologiche, né la facile intuizione di un modo di vivere che si basa su forme di informazioni puramente strumentali a questa o quella situazione. Essa comporta la partecipazione attiva e sofferta al travaglio della gente e non sempre si può affidare al già conosciuto. Entro queste coordinate, il progetto culturale della fede intende sostenere la diversità delle culture, tramite un giudizio che è accoglienza radicale e critica, abbattimento di ogni divisione, per sedersi a tavola con ogni cultura e far emergere da esse, nella sequela e memoria di Gesù Cristo, la diversità di Dio che, nella vicinanza ad ogni cultura, dà forma al progetto della riconciliazione nel mistero della salvezza(3). Ma al tempo stesso, la fede deve essere in grado di parlare attraverso la cultura, onde evitare il rischio di un ripiegamento interioristico che relega il credere e il contenuto del credere entro la sfera della soddisfazione emotiva e alla ricerca di utili gratificazioni. «Che cosa concludere, insomma? Che l'apporto culturale è, rispetto alla fede, una sovrastruttura , analogamente a ciò che pensava Marx rispetto all'economia? O, al contrario, che è uno strumento indispensabile e decisivo per evitare che la fede sia cieca, anzi bloccata dall'impossibilità di conoscere ciò che dovrebbe credere»(4).

E' pur vero, però, che l'impatto del Vangelo con la cultura disegna una trama conflittuale di interpretazioni che possono giungere sia alla drammatica separazione tra fede e cultura, sia alla logica di una lacerante indifferenza religiosa, espressione quest'ultima di una crisi che ha caratterizzato (e, talora, caratterizza) i rapporti tra il cristianesimo e   la realtà socio-culturale contemporanea. La percezione dell'irrilevanza teorico-pratica del cristianesimo in ordine all' habitus conoscitivo e al common sense che influenza il realismo delle scelte di vita, si è riflessa sulla coscienza della società, segnata da una logica di rassegnazione dovuta al fallimento delle grandi narrazioni della modernità. Senza dubbio questo scenario appare meno appariscente che in passato, ma capace di ricreare spazi di una innocua a-culturalità della fede che, mentre relega il cristianesimo in una forma di particolare amnesia culturale , alza il sipario a nuove forme di sacro(5) che risvegliano il gusto neo-pagano per il politeismo e la molteplicità dei riferimenti religiosi che servono alla organizzazione di volta in volta dei propri bisogni vitali. Se la cultura sta esaurendo, fino allo smarrimento della propria identità, i propri progetti e le proposte valoriali, se la verità è diventata un gioco di puzzle , l'alternativa praticabile è quella di ricreare il sogno di una identità culturale e umana che sia capace di uno strategico individualismo sincretistco : l'importante è che nessuno possa togliere questa esperienzialità soggettiva. Non meraviglia, di conseguenza, quel tipico disincanto culturale che è alla base della ripresa della religione e della debolezza della fede, fenomeno che, originariamente occidentale, sta caratterizzando e globalizzando il trapasso culturale dell'esperienza religiosa mondiale contemporanea.

(tutto il testo è disponibile in formato pdf)

Note:

1. P. ROSSANO , Vangelo e cultura. Note per un incontro tra il Vangelo e la cultura contemporanea , Roma 1985, 27. Si vedano le riflessioni di Y. CONGAR , Christianisme comme foi et comme culture , in Evangelizzazione e Culture , I. Atti del Congresso Internazionale Scientifico di Missiologia , Roma 1976, 83-103.
2. Sulla significatività di tale discorso per la questione dell'inculturazione, cf. J. DUPONT , Nuovi studi sugli Atti degli Apostoli , Cinisello Balsamo 1985, 359-400; R. PENNA , Paolo nell'Agorà e all'Areopago di Atene , in "Rassegna di Teologia" 36 (1995) 653-677 . Da notare che l'enciclica Fides et Ratio assume come luogo significativo dell'incontro-scontro tra fede e cultura proprio il discorso di Paolo all'Areopago, come evidenzia A. VANHOYE , Il discorso nell'Areopago e l'universalità della verità , in Per una lettura dell'enciclica Fides et Ratio , Città del Vaticano 1999, 57-65.
3. Scrive M. BORDONI , Riflessioni introduttive , in I. SANNA (ed.), Il sapere teologico e il suo metodo. Teologia, ermeneutica e verità , EDB, Bologna 1993, 12-13: «La teologia è chiamata, pertanto, ad affrontare a livello critico-scientifico il problema di una sintesi tra "cultura, storia e fede", nella convinzione che un messaggio di salvezza non    mostra la sua "universale efficacia" se non operando a fondo, e non solo a livello epidermico, nel luogo culturale nel quale l'uomo concretamente e storicamente vive ».
4. V. MATHIEU, Cultura e salvezza, in La salvezza oggi, Roma 1989, 146. Cf. M.P. GALLAGHER , Fede e Cultura. Un rapporto cruciale e conflittuale , Cinisello Balsamo 1999.
5. Rinviamo a F. GARCÍA BAZÁN , Aspectos inusuales de lo sagrato , Madrid 2000; P. SEQUERI , Il sentimento del sacro: una nuova sapienza psicoreligosa? , in La religione postmoderna , Milano 2003, 55-97.