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Dinamiche odierne della missione ad gentes e inter gentes
di Carmelo Dotolo

1 Il significato di una svolta

Può essere utile partire da un presupposto decisivo, anche se non sempre condiviso nella sua ampiezza: l'agenda missionaria la stabilisce il mondo(1). Non meraviglia, pertanto, che in un'epoca di mutamenti l'idea e la prassi missionaria stia attraversando una crisi d'identità e di crescita. Una tra le provocazioni più stimolanti può essere espressa con le parole di R. Panikkar, che nel, tratteggiare la storia dell'autocomprensione cristiana, rileva cinque periodi, evidenziando che la contemporaneità è alla congiunzione di una duplice consapevolezza: la fine di un tempo in cui il cristianesimo non può più "missionizzare" altri popoli e l'avvio di una stagione dialogica che segue allo scioglimento dell'ordine politico coloniale. «Vi è un nuovo andamento verso l'indigenizzazione, l'inculturazione, un maggior rispetto per le altre religioni, e verso tentativi di una nuova interpretazione del fatto cristico»(2).

Se la missione è in una crisi di trasformazione, ciò significa che il contesto entro ci si inserisce ha un valore di riserva critica nei riguardi di modalità standard con cui la missione si realizza. Non c'è una missione buona per tutte le stagioni, come se le evoluzioni sociali, culturali ed etiche fossero indifferenti o marginali ai processi di evangelizzazione. E' sintomatica l'oscillazione che, talora, trapela nel definire il proprium della missione:   missione globale o missio ad gentes ? missione o dialogo? evangelizzazione o promozione umana? Vangelo esplicito o implicito? Cristo o lo Spirito? Chiesa universale o Chiesa particolare?(3) D'altra parte, è evidente che la qualità dell'evento della missione dipende dagli obiettivi e dal concetto soggiacente la prassi missionaria. Se essa appare estranea o distante dalla vita, se non educa al dialogo tra il quotidiano e la vita cristiana, se non diventa u-topia di un mondo differente, l'esito è una specie di quieta indifferenza.

E' importante, però, recuperare la consapevolezza che la missione è un evento costante . Essa si pone alla fine di un monocentrismo culturale. Il che conduce non solo alla cosiddetta terzo-mondialità del cristianesimo, ma anche ad una condizione di diaspora planetaria. Il pluralismo sta modificando le strutture di plausibilità della cultura, mostrando il volto di una relatività necessaria, non disgiunta, però, da un relativismo aggressivo che sembra innalzare a teorema l' anything goes , il "va bene qualsiasi cosa", senza bisogno di principi orientativi e normativi. Al contempo, ha operato un mutamento nelle strutture di credibilità relative al ruolo e verità dell'esperienza religiosa. Quel che conta è l'indicazione di un senso religioso adeguato al bisogno antropologico e sensibile alle domande dell'autorealizzazione dell'uomo. Poco importa se ciò implica una contaminazione dell'appartenenza o della fruizione di un maggior numero di suggerimenti religiosi; l'importante è che l'incontro con altri mondi religiosi possa condurre alla convinzione della funzionalità delle religioni all'autocomprensione del soggetto e della sua ricerca di senso. Insomma, è improponibile oggi riflettere teologicamente e missiologicamente senza percepire le istanze del pluralismo e coglierne alcune traiettorie che incidono sulla possibilità dell'annuncio del Vangelo.


(tutto il testo è disponibile in formato pdf)

Note:

1. Cf. Il Dossier Missione Europa , in Nigrizia 10 (2007) 42-77.
2. R. PANIKKAR , Il Giordano, il Tevere e il Gange, in J. HICK - P. F. KNITTER (edd.), L'unicità cristiana: un mito? Per una teologia pluralista delle religioni , Cittadella, Assisi 1994, 196-197.
3. Cf. CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Nota Dottrinale su alcuni aspetti dell'Evangelizzazione, LEV, Città del Vaticano 2007.