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Essenzialità del Vangelo. Una riflessione teologica.
di Carmelo Dotolo

"Riesce lei ad esporre in un quarto d'ora ciò che un cristiano propriamente crede a un pagano di una grande città europea, che non ha ancora mai sperimentato un incontro realmente impegnativo col cristianesimo? Riesce a dirgli in breve che cosa significa propriamente la parola «Dio», affinché, sentendo questo termine, non pensi a un tiranno e custode supremo della sua morale problematica? Riesce a parlare di Gesù - senza nulla cancellare della fede vincolante - in modo tale che la cristologia non appaia a questo pagano come una mitologia posta già in partenza semplicemente al di fuori delle sue plausibilità? [...] Riesce a spiegare in tempo relativamente breve e in qualche modo a questo pagano che la chiesa non è solo un gigantesco apparato che consta di papa, di vescovi e parroci e che l'appartenenza ad essa ha come conseguenza il precetto festivo per lui incomprensibile?"(1). La tentazione di aver le risposte pronte all'uso potrebbe nascondere una semplice constatazione: il cristianesimo per molti sembra lontano dalla realtà, arroccato su affermazioni che non aiutano più a leggere il senso della vita. E' un difetto di comunicazione o è il sintomo della necessità di ricentrare cristologicamente la fede?

Nella ricerca di senso

Il ritornare all'essenziale nella comprensione e nella comunicazione della novità del Vangelo appare sempre più urgente in un contesto, come il nostro, nel quale la grande sete di spiritualità(2) sta attraversando la ricerca contemporanea, nonostante l'indifferenza sembra aleggiare come un male oscuro. Il ritorno del sacro e il moltiplicarsi delle esperienze religiose e mistiche intendono ribadire l'ineliminabilità della dimensione religiosa dell'uomo, riprendendosi uno spazio ormai saturo e occupato da altri significati e sistemi di valori. Non è agevole rintracciare i motivi di un tale itinerario, anche se alcuni fattori socio-culturali ne hanno favorito la riapertura: la crisi delle grandi ideologie del progresso e dell'emancipazione dell'uomo; la consapevolezza che la tecnica avrebbe sostituito agevolmente qualsiasi proposta di salvezza; l'incongruenza tra dichiarazioni di sviluppo lineare relativo al benessere delle società e l'emergenza di conflitti che si scontrano con l'illusione che questo è il migliore dei mondi possibili. Ciò nonostante, il conclamato bisogno di religiosità sembra accontentarsi di offrire esperienze a basso costo, pur di essere accattivanti rispetto alle domande di felicità e benessere che circolano nel nostro ambiente di vita. Non è casuale il fatto che il pluralismo etico e religioso tipico della realtà europea e italiana si caratterizzi per una singolare forma in grado di adattarsi alla frammentarietà dell'esistenza, dando, in questo modo, l'idea o l'illusione di essere più fruibile e capace di consentire una pluralità di scelta. Certo. Alla base di una simile configurazione religiosa, agisce il presupposto che nessun modello religioso è obbligatorio e che un vasto assortimento di significati ultimi è più idoneo alla complessità della vita quotidiana. In presenza di una pluralità di offerte sono possibili differenti e molteplici percorsi soggettivi nel quale ognuno può costruire e ricostruire la propria identità(3). Come valutare, qualora fosse agevole farlo, la logica che presiede all'imprevista e incontrollata fioritura di religiosità? Solo alcuni anni fa, le indagini sociologiche sembravano sigillare con una certa dose di autorevolezza la fine della religione e della sua rilevanza socio-culturale. Eppure, il dubbio che alla domanda di religiosità non corrisponda un'adeguata ricerca e una consequenziale scelta di vita è più che legittimo. Non tanto per il gusto di voler ordinare ogni movimento e ingabbiarlo entro parametri certi e ortodossi, quanto per il fatto che le stesse indagini religiose mostrano la fragilità di certe forme di spiritualità post-moderna, spesso segnate dal bisogno immediato di risposte che fughino l'angoscia e il sentimento di vuoto. "Nella configurazione attuale della città moderna, l'unica coscienza universalmente condivisibile dell'esperienza spirituale è oggi quella iscritta nel circolo dell'emozione individuale e del sentimento d'amore"(4).

Al tempo stesso, però, ci sembra dover rilevare come un segno dei tempi tale bisogno di religiosità, un'esigenza che intende suggerirci le movenze di quell' uomo nascente(5) che il presente sta scolpendo nel marmo della storia. Da questa angolatura, il cristianesimo è chiamato ad offrire il suo contributo di senso e di verità, anche nell'eventualità della sua paradossalità se non, addirittura, di un'apparente inadeguatezza della sua proposta. Non meravigli se nel supermercato delle agenzie di marketing dell'identità, il cristianesimo (e il cattolicesimo) soffrono di una crisi di rilevanza e di credibilità che si riversa sulla comprensione teorica ed etica della rivelazione cristiana. Culturalmente parlando, si è dinanzi ad un'ambiguità scoraggiante: cresce il vissuto religiosamente caratterizzato, decresce l'intensità dell'identità cristiana. Scrive Giovanni Paolo II: «Molti non riescono più ad integrare il messaggio evangelico nell'esperienza quotidiana; cresce la difficoltà di vivere la propria fede in Gesù in un contesto sociale e culturale in cui il progetto di vita cristiano viene continuamente sfidato e minacciato; in non pochi ambiti pubblici è più facile dirsi agnostici che credenti; si ha l'impressione che il non credere vada da sé, mentre il credere abbia bisogno di una legittimazione sociale né ovvia né scontata» (Ecclesia in Europa, n 7). Non è questo un dato inedito, visto che il cristianesimo sin dalle origini ha dovuto lottare per testimoniare la propria identità. Anzi, non è ipotesi peregrina il fatto che è nel DNA del cristianesimo quello di essere segno di contraddizione, religione del paradosso e della crisi di ogni approccio al divino regolato sui criteri dell'utile e dell'immediato. Se c'è crisi d'appartenenza e d'identità; se il cristianesimo è chiamato a ribadire la credibilità del Vangelo, è perché "il contenuto del vangelo supera ogni possibilità umana di sintesi e di analisi, ed è sempre «al di là» di ogni formula, anche la più santa e la più comprovata dalla tradizione [...] Non si tratta di rinnegare o di dimenticare nulla: ma occorre sempre riscoprire, come se quella parola ci fosse detta «oggi»"(6). Si tratta, in altre parole, di riscoprirne l' essenza e l' essenzialità , cioè quel nucleo originario e originale che rende il progetto cristiano significativo per il quotidiano vivere. "Chiedendo al credente quale sia per lui l'essenza del cristianesimo non dovremmo aspettarci una risposta diversa da questa: è l'annuncio che Gesù è risuscitato ed è principio di salvezza per gli uomini. E' l'unico elemento della professione di fede, che il Nuovo Testamento dichiara a tal punto essenziale da far risultare «vuota» ( kené ) sia la predicazione sia la fede che non portassero in sé questo contenuto essenziale (1 Cor 15, 14)"(7).


(tutto il testo è disponibile in formato pdf)

Note:

1. K. RAHNER , Gerarchia delle verità , in Nuovi Saggi , IX, Edizioni Paoline, Roma 1984,   p. 233.
2. Cf. B. SECONDIN , Spiritualità in dialogo. Nuovi scenari dell'esperienza spirituale , Paoline Editoriale Libri, Milano 1997, pp. 103-130.
3. Cf. C. DOTOLO , Identità cristiana e mutamenti culturali: quali orientamenti? , in ASSOCIAZIONE ITALIANA CATECHETI , Catechesi e Formazione. Verso quale formazione a servizio della fede? , a cura di S. CALABRESE , Elledici, Leumann 2004, pp. 57-69.
4. P. SEQUERI , Sensibili allo Spirito. Umanesimo religioso e ordine degli affetti , Glossa, Milano 2001, p. 13.
5. Si veda M. GUZZI, L'ordine del giorno. La coscienza spirituale come rivoluzione del nuovo secolo , Paoline Editoriale Libri, Milano 1999, pp. 105-127.
6. U. NERI , Pensieri sulla "nuova evangelizzazione" , Editrice AVE, Roma 1996, p. 16.
7. S. DIANICH , La questione dell'essenza del cristianesimo e le prospettive della teologia , in "Filosofia e Teologia" 5 (1991) p. 15.