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Globalizzazione e Vangelo. Mutamenti antropologici e umanesimo cristiano
di Carmelo Dotolo

1 La globalizzazione tra scelta e destino

Non è impresa facile entrare nella comprensione e delineazione della categoria globalizzazione, anche se è diventato un termine presente nel linguaggio familiare con cui si intende leggere i fenomeni socio-culturali della contemporaneità. Si ha l'impressione, ad uno sguardo più attento, di essere in presenza di un concetto ampio, una sorta di contenitore al quale si ricorre per interpretare una realtà che sfugge e sorprende per le sue dinamiche. Ciò fa dire all'antropologo U. Hannerz che ogni qual volta si fa riferimento alla parola globalizzazione "ci si aspettano reazioni di entusiasmo o di condanna. Per gli uomini d'affari e i giornalisti si tratta di un termine dai risvolti in genere positivi -maggiori notizie, maggiori opportunità. Sul piano dell'«imperialismo culturale», invece, la globalizzazione diventa qualcosa di negativo [...] In certi casi, la globalizzazione appare una minaccia"(1). Ora, se è vero che si tratta, di una parola pieghevole, di una idea fascinosa con la quale verificare l'adeguazione della realtà a determinate ipotesi, nondimeno essa presenta il rischio di intrappolare via via i tentativi di spiegazione della complessità sociale e culturale, per il fatto che gli strumenti conoscitivi adeguati a penetrare le effettive dimensioni dei cambiamenti in atto, risultano provvisori e inadeguati. Un dato, però, va evidenziato: il ricorso a categorie nuove, quali globalizzazione, mondializzazione(2), multiculturalismo, etc., esprimono l'esigenza di comprensione di processi i cui significati resterebbero inafferrabili in presenza di concetti tradizionali.

Tuttavia, è percepibile nel complesso delle analisi del concetto, l'istanza di una riserva critica nei riguardi della forzatura ideologica presente nella parola globalizzazione, la quale invece di rivelare sembrerebbe nascondere "la realtà attuale ed è una comoda scorciatoia per una esclusione de facto . Essa non ha niente a che vedere con la creazione di un mondo in qualche modo integrato o un processo dal quale tutti gli abitanti della terra trarranno qualche beneficio. Più che incamminarci tutti insieme verso una vita migliore, la globalizzazione consente all'economia globale di mercato di «prendere il meglio e lasciare il resto»"(3). Certo, c'è chi ritiene ingenuo un simile atteggiamento negativo, che oscilla tra la rassegnazione e l'utopia no-global che preferisce o presume di contestare un processo iscritto nella logica dei fatti, una meta a cui sembra avviarsi la situazione geo-politica attuale. In tal senso, andrebbe letta la proposta di un modello di resistenza nell'affermazione di una prospettiva glocale(4), in grado di consentire una diversa relazione tra il globale e il locale. Altrettanto superficiale, però. è l'atteggiamento integrato di chi assume il fenomeno della globalizzazione come un normale processo di stratificazione sociale, economico, culturale, promotore di uno sviluppo qualitativamente migliore della vita. Gli effetti di tale processo che appare attraversato da forti contrapposizioni (maggiore ricchezza e aumento della povertà; apertura all'incontro multiculturale e incremento del tribalismo e del fondamentalismo; affermazione delle differenze e processi di omologazione; delineazione di un nuovo ordine mondiale e crescita di un inedito disordine mondiale segnato da insicurezza e incertezza), portano in primo piano il fatto che non è poi così scontato che la globalizzazione sia un destino ineluttabile. Anzi, come sottolinea il sociologo Z. Baumann, "quella che per alcuni è una libera scelta, su altri discende come un destino crudele", «altri» che "crescono in maniera inarrestabile e affondano sempre di più nella disperazione di una vita senza prospettive"(5). La questione che si pone, dunque, è quella di sottoporre ad una serena discussione i presupposti apparentemente indiscutibili del nostro modo di vita, per il fatto che abitare la globalizzazione significa individuare criteri e valori adeguati alla ridefinizione dei rapporti interplanetari, nell'intento di percorrere uno sviluppo compatibile con i nuovi equilibri geopolitici. In tal senso, è all'interno di una logica di attenzione all'umano che è necessario riflettere su quale sia l'impatto della globalizzazione sull'organizzazione sociale dei significati, sulla possibilità di una sua   governance in grado di coniugare democrazia e mercato, sui valori religiosi e sulle norme etiche, presumendo che la globalizzazione possa costituire l'orizzonte di una unificazione diversa dal "coordinamento sempre più intenso dei mercati mondiali e la crescente efficienza della tecnologia   della comunicazione e dei trasporti"(6).

(tutto il testo è disponibile in formato pdf)

Note:

1. U. HANNERZ, La diversità culturale, Il Mulino, Bologna 2001, pp. 15-16.
2. Il termine mondializzazione è preferito da il Gruppo di Lisbona, perché "indica in maniera più precisa ciò che si vuole descrivere, e cioè i processi di organizzazione e di sviluppo dei fatti umani che operano sempre più su scala mondiale e segnano l'inizio della fine della fase prevalentemente nazionale" (GRUPPO DI LISBONA, I limiti della competitività , a cura di R. PETRELLA, Manifestolibri, Roma 1995, p.26).
3. S. GEORGE, La trappola della globalizzazione, in R. PAPINI (ed.), Globalizzazione: solidarietà o esclusione? , Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 2001, p.108. Cf. anche F. HINKELAMMERT, Globalizzazione come ideologia menzognera che altera e giustifica i mali della realtà attuale, in "Concilium" 37 (2001) pp. 32-44.  
4. Cf. E. BATINI, "Glocal": analisi di un concetto, in B. HENRY (ed.), Mondi globali. Identità, sovranità, confini , ETS, Pisa 2000, pp. 61-76.
5. Z. BAUMAN, Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone , Laterza, Roma-Bari 2001, pp. 4-8.
6. F. SCHÜSSLER FIORENZA, La sfida portata alla riflessione etica dal pluralismo e dalla globalizzazione, in "Concilium" 37 (2001) p. 99.