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Tra disincanto e responsabilità. Istanze dell'etica postmoderna
di Carmelo Dotolo

1 Confini della questione

Può apparire un paradosso l'insistenza sulla centralità delle domande etiche nella cultura contemporanea, quasi un ancoraggio ipotetico ad una prospettiva che sia capace di orientamento, seppur discreto e congetturale, nei territori accidentati dei valori e delle opzioni. Il sospetto dell'inadeguatezza della questione etica si accompagna al dubbio, se non al desiderio, di linee condivise che sappiano dare spessore alle domande di senso della vita privata e pubblica di fronte al defilarsi dell'etica in una zona di insostenibile leggerezza. Non è facile valutare tale convergenza; se sia, cioè, dettata dalla pressione di una frammentazione e differenziazione delle sfere della vita che invoca una direzione maggiormente paradigmatica nei canoni dell'identità e della protezione(1); o, ancora, se rappresenti uno standard dell'esistenza ormai abituata ad abitare una realtà sempre più sfuggente e precaria, disillusa dei grandi progetti utopici della trasformazione del mondo, ma segnata dall'ottimismo di una libertà che si sa capace di progettualità inesplorate(2).   Ciò che è certo è che la fenomenologia del tempo presente è attraversata da conflittualità interpretative che se da un lato si sentono attratte da una etica minimale, segnata dall'imperativo nichilistico di una pietas argomentativa(3), dall'altro percepiscono l'istanza di una regolamentazione dell'esistenza ghermita da processi multiculturali che sembrano scoraggiare la pratica del pluralismo radicale(4). In effetti, chiamata a misurarsi sulle possibili giustificazioni della sua praticabilità, l'etica procede incerta tra i registri dell'alterità e del riconoscimento e i codici del bene e della responsabilità, entrambi esposti al raggio d'azione di una soggettività sempre più marcata, il cui imperativo è definire la propria identità(5). Ci si muove in un terreno fluido in cui è facile perdere di vista la condizione dell'esercizio etico che è la libertà del bene come libertà del fare il bene.

La segnalazione di tale dissidio è indicativa, al di là delle possibili scelte teoriche e della sbrigative delimitazioni di campo tra etica laica ed etica cristiana e religiosa. Il motivo sta nell'emergenza della contraddizione che emerge dalla pratica della realtà, nella quale la dichiarazione di determinati principi etici viene elusa dal capovolgimento valoriale che ne guida l'attuazione. Si potrà anche discutere sulla intenzionalità sottesa a tali fattori, le cui variazioni di significato avvertono delle possibili curvature (e distorsioni) di senso, laddove alla base dell'alterità e dell'amicizia agisce l'istanza della naturalità dell'etica o della opzione individuale per l'individuo(6). Sta di fatto, però, che la ricerca etica della post-modernità è segnata da una oscillazione tra il «pessimismo della ragione e l'ottimismo della volontà»(7) che spesso rende asfittica le dichiarazioni di una libertà in grado di autodeterminare i processi storico-cultrali..Probabilmente ciò è dovuto al fraintendimento della libertà, la cui versione nella forma del libertarismo opera un pericoloso misconoscimento della comprensione della libertà come compito incompiuto, infatuato dalla possibilità, rivelatasi vuota, di dubitare del valore di ogni valore come presupposto di un allargamento delle potenzialità decisionali.   Ne è indizio stridente il vorticoso andirivieni di quelle malattie dello spirito che, con imprevedibile tocco semantico, sono individuate come vizi e/o virtù;(8) o, forse, come modo di vivere che incombe al divenire morale del soggetto nel contesto di una complessificazione del mondo.

A ragione, annota P. Valadier, in un simile orizzonte di pensiero

«non si può più presupporre che la libertà sia scontata, oppure si identifica la libertà con il capriccio individuale, con la vittoria della pulsione immediata, con la fantasia dell'impressione momentanea; ci si abbandona di fatto alla moda o al conformismo dominante (...) La libertà va costruita e non può mai essere certa di aver raggiunto la propria verità; deve comprendersi come un compito incompiuto, precisamente come un impegno di vigilanza su sé stessi e sulle varie relazioni che si instaurano nella vita»(9).

Quali siano gli elementi che alimentano la domanda etica contemporanea, seppur nella incertezza e frammentarietà delle suo opzioni, è questione non semplice da districare. Nondimeno, l'ipotesi della pluralizzazione dell'immagine del mondo, sembra costituire il momento genetico di quella instabilità teoretica che connota la questione etica oggi, nel segno di un'allergia ad universalizzare visioni della vita la cui pretesa è, al massimo, aiutare l'uomo ad abitare il suo mondo(10). La liquidazione della pretesa della modernità di progettare una morale all'altezza di una razionalità determinante, soprattutto nell'enfasi della centralità dell'io(11), e il simultaneo imporsi di un paradigma della differenza, rendono alquanto fluida la questione sulla possibilità di una fondazione epistemologica, visto che le procedure conoscitive non possono rispecchiare una realtà dai contorni virtuali e culturalmente connotata da un pluralismo veritativo attento alla accoglienza di prospettive parziali di valori. Non solo, ma la tensione tra la prassi del quotidiano e una certa forma di razionalità, sembra lacerare sempre più il principio formale dell'agire morale(12), cioè la scelta del bene e la responsabilità della libertà, in vista di una esigenza di significato che richiede una inesausta vigilanza ermeneutica. Il rischio di ridurre la morale a semplice fatto etico è più di un vago sospetto, soglia di un passaggio nel cui orizzonte alberga la preoccupazione di individuare possibili visioni della vita capaci di suggerire come orientarsi tra valori e norme(13). Non si tratta, solo, di leggerezza dell'etica ascrivibile alla frammentazione strutturale del contingente(14), promosso a luogo ontologico della complessità contemporanea; né di rassegnazione dinanzi alla alterità della verità che sembra ispirare atteggiamenti di tolleranza e di dialogo non conflittuale. E' in gioco la convinzione, o quasi, propria della razionalità pratica, di aiutare la mobilità storica dell'esistenza ad assumere una sorta di tonalità etico-emozionale capace di smussare l'effetto dello sfondamento di senso, senza il miraggio di conformare il vissuto a teorie morali in grado di fornire ricette sicure e universali. In fondo, le teorie morali prodotte dalla storia del pensiero altro non sono che tentativi di stabilire un ordine di priorità tra diverse tipologie di ragioni e regole morali. Lungi dalle derive, peraltro reali del relativismo(15), comunque bisognoso di un adeguato approccio(16), si viene a delineare una figura etica misurata sulle istanze del soggetto che dinanzi alle sfide della complessità è chiamato a una nuova conoscenza, a quella «auto-eco-conoscenza»(17) che nell'abbandono «del punto di vista assoluto, universale, onnisciente»(18), prospetta modalità di etica capaci di sostenere una navigatio vitae quanto più possibile tranquilla e bilanciata.

In questa prospettiva, non sorregge neanche l'ipotesi, di derivazione nietzscheana, di un'etica transvalutativa all'altezza del compito della volontà di potenza(19), che, anzi, sembra essersi stemperata nella maglie di una sterilità assiologia(20). Il motivo è noto: un' etica senza metafisica non solo appare infondata perché favorisce un raggomitolarsi della vita nell'equilibrio del particolare ben-essere, ma dichiara la sua fragilità dinanzi allo spaesamento e indebolimento del concetto tradizionale di soggettività(21), interprete di quella forza utopica inscritta nel non-ancora della trasformazione della storia che appartiene ormai agli archivi della illusione. Nessuna genealogia della morale pare assicurare quella innocenza del divenire in grado di ristorare la fatica del vivere, dopo il travaglio mercificante delle ideologie: né il nominalismo etico, con la sua carica di alleggerimento valoriale in vista di un esperimento più umano del vivere; né l'etica nichilistica della verità intesa come « interesse disinteressato »(22). Sarebbe sufficiente, probabilmente, rivedere la topologia della morale che sappia interpretare e articolare un' etica del relativo(23), senza domini utopici e certezze ideologiche, oramai edotta della inoltrepassabilità della legge di Hume(24).

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Note:

1. Osserva U. GALIMBERTI , Orme del sacro. Il cristianesimo e la desacralizzazione del sacro , Feltrinelli, Milano 2000, 252: «A partire da questo tipo di linguaggio le uniche etiche possibili sono, come l'etica cristiana, etiche protettive e salvaguardanti che non hanno in vista le inquietanti orme del sacro, ma il recinto della sicurezza dove tutti si danno da fare perché si possa progredire lungo la strada maestra, lastricata dai valori della nostra civiltà che attraversano la cultura, la scienza e la tecnica, la politica, la religione, la pace, l'economia e l'ambiente, e anche la filosofia, sotto le forme rinnovate dell'etica pubblica, della bioetica e dell'epistemologia»
2. E' poi così verosimile ipotizzare un decremento qualitativo dei valori, fino a ripetere, forse sull'onda della forma opinionistica, che la morale versa in un declino irrimediabile, dato lo sgretolarsi delle credenze? Sembrerebbe questo il leit-motiv postmoderno non condiviso nella sua partitura complessiva da R. BOUDON , Declino della morale? Declino dei valori? , Il Mulino, Bologna 2003, 7; 20, il quale stigmatizza l'iperbolicità di talune teorie che assumono alla base dei loro teoremi l'idea dell' anything goes e dello scetticismo (cf. 101-108).La sua posizione differisce per la convinzione di una qualità etica diversa da alcuni paradigmi: «Si è quindi molto lontani dall'avere l'impressione che hanno invece alcuni di un indebolimento dei valori e della morale. Non sembra proprio che le persone si sentano più alienate oggi rispetto a ieri, né che si percepiscano come dei piccoli dèi (...) Non sembra nemmeno che vi sia una sorta di ritorno della divinità (...) In realtà ci si rende conto, soprattutto guardando l'insieme delle società occidentali, di un'evoluzione nella direzione di quella che, seguendo Weber, si può definire una razionalizzazione dei valori ». A partire da questa angolazione, è senza dubbio importante sintonizzarsi con una recente indagine sociologica sul pluralismo morale e religioso degli italiani, che mostra la tendenza ad una pluralizzazione etica confinante con la sua relativizzazione. I motivi possono essere molteplici; di fatto, non fa che allargare lo spazio della conflittualità interpretativa: cf. F.S. CAPPELLO - E. PACE - L. TOMASI , «Il pluralismo etico sociale», in F. G ARELLI - G. GUIZZARDI - E. PACE (a cura), Un singolare pluralismo. Indagine sul pluralismo morale e religioso degli italiani , Il Mulino, Bologna 2003, 215-248
3. Cf. le riflessioni di A. M ILANO , Quale verità. Per una critica della ragione teologica , EDB, Bologna 1999, 47-65.
4. Cf. le limpide argomentazioni di C. VIGNA , «Libertà, giustizia e bene in una società pluralistica», in C. VIGNA - S . ZAMAGNI (a cura), Multiculturalismo e identità , Vita e Pensiero, Milano 2002, 3-32 e la riflessione di F. COMPAGNONI , «La multiculturalità ha generato una crisi d'identità nella riflessione etico-cristiana?», Ibidem , 207-220. Utili indicazioni in G.L. BRENA (a cura), Multiculturalismo dialogico?, EMP, Padova 2002.
5. Cf. indicativamente quanto annota A. BONDOLFI , «Ragione pubblica, conflitti di identità e tolleranza religiosa», in I Libri de «Il Regno», Non passare oltre. I cristiani e la vita pubblica in Italia e in Europa , EDB, Bologna 2003, 229-240.
6. Rinviamo alle puntuali riflessioni di A. RIZZ I, Oltre l'erba voglio. Dal narcisismo postmoderno al soggetto responsabile , Cittadella Editrice, Assisi 2003, 118-147.
7. C. ZUCCARO , Bioetica e valori nel postmoderno. In dialogo con la cultura liberale , Queriniana, Brescia 2003, 18.
8. Cf. S. NATOLI , Dizionario dei vizi e delle virtù , Feltrinelli, Milano 1996; U. G ALIMBERTI , I vizi capitali e i nuovi vizi , Feltrinelli, Milano 2003.
9. P. VALADIER , «Chiesa e democrazia. Le inquietudini morali», in Il Regno Attualità 48 (2003) 645.
10. Cf. NATOLI , Dizionario dei vizi , 37; 142.
11. E' quanto scrive GIOVANNI PAOLO II, Veritatis Splendor , 32-34. Si legge: «In alcune correnti del pensiero moderno si è giunti a esaltare la libertà al punto da farne un assoluto, che sarebbe la sorgente dei valori . In questa direzione si muovono le dottrine che perdono il senso della trascendenza o quelle che sono esplicitamente atee. Si sono attribuite alla coscienza individuale le prerogative di un'istanza suprema del giudizio morale, che decide categoricamente e infallibilmente del bene e del male». Cf   il commento a più voci in Veritatis Splendor. Testo integrale e commento filosofico-teologico, a cura di R. Lucas Lucas, San Paolo, Cinisello Balsamo 1994;   A. BONANDI , «Dieci anni di teologia morale con Veritatis Splendor . Aspetti della ricezione dell'enciclica», in La Scuola Cattolica 131(2003) 7-39.
12. Cf. A. RIGOBELLO , «La riflessione sull'etica nella società contemporanea», in Etica oggi: comportamenti collettivi e modelli culturali , Editrice Gregoriana, Padova 1989, 46-82. In questo quadro prospettico si vedano anche le riflessioni   a più voci in Rivista di Teologia Morale 84 (1989); A. GIORDANO , «Cultura senza etica? Una fenomenologia del post-moderno», in ID (a cura), La questione etica. Una sfida dalla memoria , Città Nuova, Roma 1990, 25-44; Prospettive etiche nella postmodernità , San Paolo, Cinisello Balsamo 1994; G. COCCOLINI , «L'etica dei postmoderni», in Rivista di Teologia Morale 111 (1996) 363-377.
13. G. ANGELINI , «Ritorno all'etica? Tendenze a ambiguità di un fenomeno recente », in Il Regno Attualità 35 (1990) 438-449. Si veda anche P. RICOEUR , «Dalla morale alla etica alle etiche», in Hermeneutica 2001, 5-16.  
14. Si vedano le annotazioni di A. MASULLO , Il tempo e la grazia. Per un'etica attiva della salvezza , Donzelli, Roma 1995, 121-131. Scrive P. GRASSI , «La teologia morale nell'epoca post-moderna», in Rivista di Teologia Morale 84 (1989) 44: «L'occasionalismo è diventato anche la forma etica di molte espressioni culturali contemporanee (...) Dal rifiuto degli universali, e dunque dalla crisi del generale e dell'essenziale, deriva la relatività di ogni prospettiva, la mancanza di ogni forma eidetica, ma poiché senza norme non è possibile un   ordine sociale, il valore delle medesime lo si trae dal solo essere state poste».
15. Circa il relativismo etico così sintetizza S. MAFFETTONE ,« Moralità e scienza», in Valori, scienza e trascendenza , II Un dibattito sulla dimensione etica e religiosa nella comunità scientifica internazionale , Edizioni della Fondazione Giovanni Agnelli, Torino 1990, 20: «Sotto il nome di relativismo etico si possono in realtà sostenere due tesi teoriche diverse, di cui la prima è molto più accettabile e meno significativa della seconda. Nel primo caso, il relativismo è empirico o, come si dice, «culturale». Si parte dalla constatazione che diversi popoli in diversi periodi optano per teorie etiche incompatibili; si conclude pere l'impossibilità di fatto di una sola teoria etica valida per tutti popoli di ogni tempo. (...) In un seconda versione, il relativismo è teorico-normativo (...) Qui non si parte dall'incompatibilità di fatto tra teorie etiche in contesti diversi, ma dalla loro incompatibilità di diritto e in linea di principio. E' così chiaro che questa tesi, se fosse dimostrata, tenderebbe ad annichilire ogni possibilità di una teoria etica oggettiva e perciò a fortiori di una sua eventuale applicazione». Cf. anche J. RATZINGER , Svolta per l'Europa? Chiesa e modernità nell'Europa dei rivolgimenti , San Paolo, Cinisello Balsamo 1992, 13-32.
16. Si vedano le considerazioni di E. CHIAVACCI , «L'universalità dell'etica cristiana», in Rivista di Teologia Morale 130(2001) 177-184.
17. E' la proposta di E. MORIN , «Auto-eco-conoscenza», in M. CERUTI - M. PERA (a cura), Che cos'è la conoscenza , Latreza, Roma-Bari 1990, 67-78.
18. MORIN , «Auto-eco-conoscenza», 77.
19. Per uno sguardo complessivo cf. V. FRANCO , Etiche possibili, Il paradosso della morale dopo la morte di Dio , Donzelli, Roma 1996, 43-75; G. REALE , Saggezza antica. Terapia per i mali dell'uomo d'oggi , Cortina Editore, Milano 1995, 11-28.
20. Cf. I. MANCINI , Tornino i volti , Marietti, Genova 1989, 70-111.
21. Si leggano le indicazioni critiche di C. CIANCIO , «Crisi e rifondazione dell'etica», in Annuario Filosofico 3 (1987) 37-63.
22. A. BADIOU , L'etica. Saggio sulla coscienza del male , Pratiche, Parma 1994, 46. Cf. 31-52.
23. Cf. C. A. VIANO , «Etica del relativo», in MicroMega. Almanacco di filosofia '97, 116-123; R. BODEI , «Elogio del relativismo etico», in MicroMega 2 (1995) 146-155.
24. Si veda E. BERTI , «A proposito della "legge di Hume"», in Fondazione e interpretazione della norma , Morcelliana, Brescia 1986, 237-245.