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La fede
di Carmelo Dotolo

Dinanzi alla espressione fede si ha l'impressione di avere a che fare con l'ipotesi stravagante di un comportamento esotico, dettato più dalla immaturità dell'uomo che dalla consapevolezza che l'esperienza del credere sia decisiva per leggere il cammino della propria identità. In più, la realtà contemporanea segnata sia da forme di indifferenza religiosa sia dalla seduzione di un sacro a misura d'uomo, sembra configurare la fede come un desiderio pieno di senso che si accontenta di credere di credere. Con la conseguenza di una delegittimazione della questione del credere che diventa sempre più un believing without belonging che rende il credente un solitario. Tale tendenza alla soggettivazione del credere e delle risposte ad esso(1) muta il credere in un sognare, in un supporre, privo del pathos biblico dell'affidarsi ad un Altro, stemperato a livello di sentimento autoreferenziale. Osserva A. N. Terrin(2):

Su questa scia si può facilmente e senza possibilità di essere smentiti sostenere che oggi credere è più connesso o sostituito con «presentire», «paventare», «supporre» o anche «sognare» o «credere di credere». E' un credere che è inversamente proporzionale alle «ragioni» del credere tradizionale. E questo avviene tanto più in quanto la credenza è aleatoria, insostenibile con la ragione. L'ingenuità e la credulità stanno alla base e al fondamento dei nuovi volti del sacro in un vortice di frammentarietà e di irrazionalità che coinvolge ogni aspetto della fede e non lascia più intatto alcun momento proprio della vita religiosa, che diventa scomposta e a volte confusa.

Allora, quale possibilità ha la fede cristiana nei confronti della rassegnazione al senso comune e alla ineluttabilità delle cose? Sicuramente, quello di offrire uno sguardo inedito, differente, non uno sguardo da «nessun luogo», ma dall'orizzonte di Dio che rivoluziona le sicurezze sottoposte alla tranquilla verifica delle cose già viste. Per questo, la fede è una scelta ed una decisione difficile, perché chiama l'uomo a volgersi dalla esistenza come problema al Mistero come orizzonte di senso, invitandolo a non arrestarsi alla superficie dei significati a buon mercato, ma ad abitare le domande della storia e dell'esistenza il cui senso non è misurabile secondo parametri esclusivamente razionalistici. Tuttavia, ciò non esclude lo scandalo e le contraddizioni del credere, la cui eccedenza sta nell'aprire la ricerca umana alla fatica della verità. Piuttosto che essere "centometrista del mondo dello spirito che in gran fretta trova da qualcuno qualche piccola novità sul dubbio, da un altro qualcuna sulla fede e ora arrangia i suoi affari alla buona di Dio"(3), il credente è colui che osa il coraggio della meraviglia e dello stupore della ragione dinanzi alla sorpresa del Dio rivelato in Gesù Cristo.

1 La fede come donazione di senso

Si può affermare che la fede ha il compito di essere interprete del mondo e della storia, a partire dalla consapevolezza che l'esperienza della storicità dell'uomo esige una continua capacità di interpretazione. E'ingenuo pensare ad una semplicità o spontaneità del credere al di fuori di un cammino di discernimento critico, perché la fede è dinamica, movimento dell'esistenza, inquietudine per la salvezza che rappresenta l'interrogativo essenziale dell'uomo e che si manifesta come tensione all'autenticità e alla felicità. Per questo, il credere è segno di un interrogarsi che abita nell'ascolto della rivelazione cristologicamente caratterizzata. Anzi, lo specifico della fede è proprio quello di tenere aperta l'esistenza e la storia alla Parola che ci dà sempre a pensare , stella di orientamento che muta la comprensione della fede in un di più rispetto alla sola interpretazione concettuale. Ciò esige dal credere una tensione alla conoscenza del Dio trinitario e al riconoscimento della sua signoria nella storia. Una fede priva della conoscenza rasenta il fideismo e la staticità, fino a capovolgersi in non-fede. Il conoscere, invece, è dimensione della fede quale risposta a un "appello reale oggettivo"(4) che sorprende l'uomo nella ricerca della verità. Affermare che la fede convive con l'incredulità e il dubbio; che essa è decisione dell'impossibile rispetto alle normali possibilità umane e, quindi, sfida alle presunte certezze della ragione, significa sottolineare che la fede è "critica e crisi di ogni certezza"(5), indicazione di un senso che non si costruisce da solo, ma che proviene dall'incontro di due libertà: quella di Dio e quella dell'uomo. Scrive J. Ratzinger(6):

Credere cristianamente significa intendere la nostra esistenza come risposta al Verbo, al Logos che sostenta e mantiene in essere le cose. Significa dare il proprio assenso a quel "senso" che non siamo in grado di fabbricarci da noi, ma solo di ricevere come un dono, sicché ci basta accoglierlo e abbandonarci ad esso.

In tale ottica, l'irruzione di Dio nella sua imprevedibilità, comporta una serie di conseguenze che rende il credere un pensare altrimenti e un diverso modo di essere, dove l'io dell'uomo è decentrato e sradicato nell'affidarsi all'Altro e agli altri. Il difficile è proprio nella decisione dell'affidarsi,   perché tale scelta richiede all'uomo la capacità di fare esodo verso l'inesauribile creatività del progetto salvifico di Dio, laddove Dio è Altro, non riducibile alla misura dell'uomo, né risolvibile entro condizioni predeterminate. Non meraviglia, quindi, che la fede cristiana è un rischio che abita nella provvisorietà e precarietà del suo movimento(7), allusione ad una esistenza che osa dichiarare l'impossibilità della chiusura nel proprio mondo, pena lo smarrimento dell'identità autentica. L'affidarsi esprime la forza dell'incondizionato, il coraggio di ammettere che l'incontro con Dio non può, come annota E. Levinas(8):

partire da una pretenziosa familiarità con la "psicologia" di Dio e col suo "comportamento" per interpretare i testi nei quali si profilano le vie difficili che portano alla comprensione del Divino. Il quale si illumina soltanto, per così dire, sul crocevia dove s'incontrano i cammini umani, e dove questi cammini stessi l'invocano e l'annunziano.

(tutto il testo è disponibile in formato pdf)

Note:

1. Cf. P. L. BERGER, Una gloria remota. Avere fede nell'epoca del pluralismo , Bologna 1994, pp. 83-103; 121-138;    G. FILORAMO, Religioni e mutamento contemporaneo , «Humanitas» 53 (1998) pp. 439-456; R. MARCHISIO, Ritualità senza miti nell'attuale contesto della religiosità soggettiva , in G. BONACCORSO (ed.), Mistica e ritualità: mondo inconciliabili? , Padova 1999, pp. 45-83.
2. A. N. TERRIN, Mistiche del post-moderno: tra il rifugio nel Sé e la riscoperta dell'«Olon» , in G. BONACCORSO (ed.), Mistica e ritualità , p. 135.
3. S. KIERKEGAARD, Timore e Tremore , in Opere , a cura di C. Fabro, Milano 1993, p. 94. Cf. la suggestiva lettura di P. SEQUERI, Il timore di Dio , Milano 1993, pp. 20-37.
4. E. SCHILLEBEECKX, Dio, il futuro dell'uomo , Roma 1970, p. 52. La dimensione della reciprocità tra carattere oggettivo e soggettivo del credere è stata ribadita dalla enciclica Fides et Ratio , come mostra R. FISICHELLA , La rivelazione, novità radicale per la fede e la ragione , in Fides et Ratio . Lettera enciclica di Giovanni Paolo II. Testo e commento teologico-pastorale a cura di R. Fisichella, Cinisello Balsamo 1999, pp. 171-187.
5. M. M. OLIVETTI, I laici, i credenti, il sapere , in J. JACOBELLI (ed.), Crisi e fede , Roma-Bari 1989, p. 128.
6. J. RATZINGER, Introduzione al cristianesimo. Lezioni sul simbolo apostolico , Brescia 1969, p. 41. Cf. anche F. LAMBIASI, Senso e significato del credere , in R. FISICHELLA (ed.), Noi crediamo. Per una teologia dell'atto di fede , Roma 1993, pp. 157-175.
7. Si vedano le riflessioni di E. BIANCHI, La fede è un rischio , «MicroMega. Almanacco di filosofia» 2 (2000), pp.75-84.
8. E. LEVINAS, Quattro letture talmudiche , Genova 1982, p. 70.