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La fede di Gesù e il suo progetto messianico
di Carmelo Dotolo

1. Gesù, paradigma della fede

Parlare della fede di Gesù, può risultare una stranezza che urta il buon senso e rompe un consolidato immaginario religioso. Linguisticamente, poi, sembra un vero azzardo, anche se è proprio del linguaggio religioso e teologico oltrepassare i limiti di una semplice descrizione della realtà che non lasci intravedere possibilità altre e differenti. Nella narrazione del Nuovo Testamento, l’espressione fede di Cristo, per quanto ritorni nove (9) volte nell’epistolario paolino, appare quanto meno singolare come formulazione. Si tratta della fede di Cristo inteso come soggetto o come oggetto del credere (per cui molti traducono in Cristo)? La Lettera agli Ebrei, poi, offre un’intuizione interpretativa intrigante, nel senso che Gesù è presentato come prototipo e paradigma della fede, intesa come cammino di obbedienza al progetto del Padre. Vale a dire, come itinerario di una comprensione sempre più profonda e decisiva della sua identità, nell’ascolto della realtà e nell’incontro con gli altri. Queste semplici precisazioni, lasciano emergere la difficoltà di una simile tematica, che deve tener presente almeno una duplice prospettiva: la singolarità fondativa della fede di Gesù, perché è la sua persona e il suo stile che danno una qualità al movimento del credere; il suo essere paradigma per la fede dei discepoli, la cui avventura storica (la sequela) si motiva, si elabora e si determina a partire dall’esperienza con Gesù e della sua particolare identità.

Per questo, può essere utile una sintetica precisazione del significato della fede. Essa, come atto umano, costituisce una modalità di realizzare il difficile compito dell’esistenza, nella quale prevale la logica della relazione e dell’affidamento. Nell’accoglienza del dono, il credere apre all’incontro con Dio e ad una differente ospitalità degli altri, con i quali costruire una realtà nuova segnata dalla solidarietà e dalla ricerca di ciò che promuove vita. In tal senso, il credere si orienta sulla convinzione fondamentale della bontà del mondo, sul fatto che la distruzione e la violenza non sono le parole ultime della storia umana. Di più, intravede la possibilità di trovare un senso che si cela come promessa là dove la vita mostra che la felicità e il bene sono possibili. L’alternativa sarebbe un vuoto insopportabile, a cui corrisponde, spesso, una ricerca ansiosa di elisir di lunga vita facili da sperimentare, ma talora fallimentari negli effetti. «La fede è responsabilmente accolta e responsabilmente vissuta non perché noi abbiamo prima deciso responsabilmente di credere, ma perché questo “inizio” assoluto che la fede è, si dimostra capace di attraversare le domande che noi poniamo alla sua esistenza».

 

(tutto il testo è disponibile in formato pdf)