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Messaggio del Regno ed esistenza cristiana
di Carmelo Dotolo

Qual è il filo conduttore, la domanda che mi ha sollecitato o che è alla base di questa proposta di riflessione che è al confine tra riflessione teologica e riflessione spirituale ?

1. Mi sono chiesto cosa Gesù di Nazareth può portare alla comprensione della nostra vita. Non siamo più ingenuamente legati alla freschezza di un messaggio, abbiamo l'esperienza talvolta di una vita delicata, fragile, faticosa, segnata da interruzioni, da improvvise fermate, da desideri a volte negati o non realizzati, ma anche da felicità che ci danno gusto, senso e che qualche volta sembrano lasciarci con le nostre domande. E quindi mi chiedevo se questo Vangelo, che è il Vangelo del Regno, può dare alla nostra vita di ogni giorno un senso, un significato.

2. Siamo anche consapevoli, perché ormai maturi di un certo cammino, che la vita si può anche organizzare senza Dio. Non credo che noi apparteniamo ad una maggioranza sociologica, siamo una minoranza, qualitativa mi auguro, ma una minoranza. Non è una constatazione negativa, è una presa d'atto di una condizione storica. In fondo noi credenti, noi cristiani, cosa aggiungiamo alla vita? Che contributo diamo allo scorrere dei giorni da renderli più intensi, più belli? Abbiamo ancora il coraggio di aprirci al messaggio del Vangelo che è bello, sconvolgente, rivoluzionario, ma che talvolta è anche difficile da comprendere perché sfugge alle dinamiche del mondo, della storia, sfugge perché è alternativo, perché è un controsenso? Sicuramente non è nella logica di tutti i giorni poter dire che il cristianesimo, il   Vangelo offre all'esistenza una qualità tale per cui noi camminiamo senza che i dubbi, senza che le domande, senza che le questioni ci solleticano.

3. Una terza premessa ha guidato anche la scelta del tema, è la questione cosiddetta del senso . Anche noi affermiamo che abbiamo bisogno di un senso, di un riconoscimento, di un'autorealizzazione, perché non siamo angeli, non siamo altro da coloro che incontriamo nel quotidiano. Da qui la domanda fondamentale: il Regno, questo Regno che sembra non realizzarsi mai, che addirittura sembra molto più distante di quanto non sembri, può dare alla nostra esistenza una qualità? O, comunque, una dose di speranza tale da valorizzare e giustificare le nostre scelte, i nostri comportamenti, i nostri valori, che sono anche i valori degli altri, - amicizia, libertà, felicità -   valori che in fondo sono il condimento della vita.

D'altra parte noi sappiamo, per esperienza, che la vita è un laboratorio sperimentale, la vita è un'avventura. Non abbiamo nei confronti della nostra esistenza una chiara visione di essa. Ci rendiamo conto che viviamo in un progetto, ma con i segni di una frammentarietà, che non è negativa. Sono i segni di un percorso quotidiano che lentamente ci fa capire chi siamo, ci fa capire chi vorremmo essere e non riusciamo ad essere talvolta, ma ci fa anche capire che i sogni, i desideri non vanno buttati al mare, ma i sogni e i desideri di una vita piena è quello che Gesù di Nazareth ci ha suggerito, è quello che il Vangelo sostanzialmente ci ha detto.

In questo senso noi dobbiamo partire da un brevissima constatazione cristologica.   Gesù quando entra nella storia, entra per affermare la pienezza della vita. Dobbiamo abbandonare le maschere di una negatività che ci caratterizza in virtù della quale l'incarnazione di Gesù sarebbe la pezza a colori di un progetto sbagliato. No! Non è del tutto corretto. Gesù quando entra nella storia ha l'attenzione di riempire un'esistenza, di renderla qualitativamente diversa. Per Lui la vita è più importante della morte, l'attenzione all'altro è più importante del peccato, che l'altro viva e venga promosso nella sua umanità è più importante del giudizio, della condanna, della valutazione. L'altro è ciò che Gesù mette al centro. E quindi noi di questa pienezza dobbiamo essere sia interpreti che protagonisti.

Fatte queste premesse provo a sviluppare alcuni passaggi.

Il Regno. La domanda che emerge nel Vangelo non è che cosa è il Regno, ma chi è il Regno; o chi è colui che riesce a dare al Regno una sua configurazione, una sua forma. Abbiamo letto nella lettera ai Galati (cf. 5,22) che il Regno è tradotto in ciò che è o esprime la vita che Gesù stesso ha vissuto: libertà, gioia, pace. Quindi il Regno non è altro che il contenuto che riflette l'esistente così come Gesù l'ha vissuto e   pensato. Il Regno è la categorizzazione del vissuto di Gesù di Nazareth. Quando Gesù dice che il Regno è libertà, pace, amicizia, fraternità non teorizza, ma porta a tema quello che Lui ha realizzato nella sua esistenza, quell'esistenza che noi riusciamo ad intuire nella trama narrativa dei Vangeli, in quei frammenti di incontro con le persone, quei frammenti di messaggi che sembrano essere così semplici da non modificare molto le regole del mondo.

  Nella nostra società si parla di processi di globalizzazione. Io non credo che Gesù avesse questo problema. Pensate che questo uomo ha tentato di creare una rivoluzione nel piccolo, in quella sfera che oggi a noi sembrerebbe essere insignificante, perché incontrava una persona, ci chiacchierava un po', la guariva e la vita continuava, ma quel piccolo passaggio che Gesù operava all'interno di quelle persone modificava un tessuto, modificava un'identità. Noi se guardiamo il Vangelo con molto realismo, è esplosivo. Ma per chi? Per Zaccheo (cf. Lc 19,2-10), per l'uomo dalla mano inaridita (cf. Mc 3, 2-5), per i due ciechi (cf. Mt 20,30-33), per un paralitico (cf. Mc 1-12).

Quello che a me interessa evidenziare è che Gesù entra in una relazione quasi personale. Per Lui il quotidiano è più decisivo di qualsiasi altra realtà, perché è la vita quotidiana che è capace di creare le premesse per un'identità. Tra i santi che il direttore ieri sera nell'introduzione ha presentato come testimonianza, mi ha colpito l'ultimo, perché è uno di quelli che nella mia vita sono stati importanti: Charles De Foucauld. Questo santo mi aveva colpito per la cosiddetta "spiritualità del piccolo", la "spiritualità di Nazareth", che, quando ero giovane la percepivo come una specie di vezzo alternativo, invece più vado avanti e più mi rendo conto che è vero: il messaggio del Regno produce un cambiamento se modifica nel quotidiano la mia identità, cioè se mi aiuta ad assumere quelle categorie che Gesù ha vissuto e realizzato, come test di verifica per il mio percorso.

1. In tal senso la prima affermazione che il Vangelo del Regno ci suggerisce è quella che noi possiamo dire l'essere amati. L'essere amato è la verità più profonda della nostra esistenza. Noi siamo amati, è difficile poterlo sperimentare, facciamo fatica talvolta, perché l'essere amato ci dà l'idea di una verifica sperimentale, e probabilmente è vero. Però questa è la prima affermazione che il Padre fa sul Figlio "Questo è il mio Figlio, che io amo" ( Mt 3,17). E Gesù ha iniziato la sua "carriera profetica" - come dice qualcuno con un'espressione non molto felice - a partire da questa indicazione, cioè a partire dall'esperienza, dalla consapevolezza che c'è un amore che è alla base del progetto di vita. E credo che se noi non avessimo questa consapevolezza non faremmo un passo, perché dovremmo pensare che tutti sarebbero nostri avversari.

Gesù quando comunica agli altri la freschezza del Vangelo parte dalla convinzione che il sentirsi amati è ciò che dà unicità alla nostra identità. Noi però facciamo fatica ad accettare questo, facciamo fatica ad accettare che il Signore ci ama perché questo amore talvolta esige da noi una fuoriuscita di noi stessi, esige che l'accoglienza di questo amore ci metta in movimento, ci metta in cammino, ci faccia fare esodo. E noi facciamo fatica perché tutto sommato preferiamo rimanere nel nostro guscio, preferiamo rimanere così perché almeno possiamo autogiustificarci, autocommiserarci. Invece il sentirsi amati dà alla propria identità, al proprio io, la garanzia che qualsiasi scelta, qualsiasi rischio, qualsiasi avventura nella logica dell'amore ha una sua qualità e positività. Il sentirci amati ci fa capire che l'unicità di cui siamo portatori, non è un blocco, ma è un dono, è una specificità. Noi non siamo sostituibili con nessun altro e il nostro essere, il nostro ruolo, il nostro servizio non è realizzabile senza di noi. Questo è importante! Innanzitutto perché ci toglie un po' di competitività inutile. Sentirci amati significa sostanzialmente che noi siamo e valiamo per quello che siamo. Non dobbiamo essere di più, non dobbiamo essere i migliori, non dobbiamo essere sempre al top , non abbiamo bisogno di fans , di pubblico. Abbiamo bisogno semplicemente di sapere che siamo unici e irripetibili. Ma questo non per una sorta di narcisismo spirituale, ma perché è una scelta di Dio. Non c'è narcisismo in questo sentirci unici, anche perché se siamo consapevoli di noi stessi, c'è poco da essere narcisisti.

(tutto il testo è disponibile in formato pdf)