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pubblicazioni  
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  Una fede diversa. Alla riscoperta del Vangelo, Edizioni Messaggero Padova, Padova 2009, pp. 223
 

Introduzione

«Non basta preoccuparsi dello "specificamente cristiano" di cui si fa sì gran uso e abuso, non basta preoccuparsi dell'identità cristiana, che ad ogni occasione fa ribadire che la salvezza è stata già donata in Cristo. Ci può essere anche un'altra sorta particolare d'insufficiente identità, che è sintomo di una senescenza precoce e che va disseminando la sua segnaletica di sicurezza e salvaguardia: un'insufficiente identità, che preferisce assoggettarsi alla dittatura di quanto è avvenuto e compiuto, piuttosto che mettersi sulla via d'una speranza che abbia ancora delle attese» (J. B. METZ , La fede,   nella storia   e nella società. Studi per una teologia fondamentale pratica , Queriniana, Brescia 1978, 174).

Forse, è difficile vivere l'avventura della differenza che il Vangelo propone. Non per un eccesso di scetticismo nei riguardi del suo progetto, né per una ironica sufficienza di chi pensa che è solo un'utopia, ma perché si tratta di uno stile di vita e di pensiero al di là delle evidenze superficiali, delle convenzioni prestabilite, dei menù culturali e religiosi pronti all'uso. Ed è difficile, perché impegna ogni uomo e donna ad assumersi la responsabilità di scelte che sappiano andare al cuore dell'esistenza, con le sue domande, desideri, attese, dubbi. Deve esser stato così anche per i cristiani della prima ora, di coloro che, dinanzi alla scoperta di una notizia straordinaria , hanno dovuto fare i conti con la fatica del quotidiano, con la pressione dell'incertezza, con il sospetto di trovarsi, ancora una volta, dinanzi ad un sogno irrealizzabile. Insomma, un'ennesima delusione per chi non si è rassegnato a dare ascolto al senso comune, al conforto dell'esperienza del 'nulla di nuovo sotto il sole'. Tuttavia, nonostante incomprensioni e pregiudizi, hanno osato il coraggio di essere diversi nell'uguaglianza; di percorrere un altro cammino, tra le tante strade possibili; di creare le condizioni per una cultura significativa, tra le molteplici sapienze che alimentavano la storia (1). E' quanto narra la lettera A Diogneto , 5: «I cristiani, infatti, non si differenziano dagli altri uomini, né per il territorio, né per la lingua, né per l'abbigliamento. Non abitano città proprie, non usano un linguaggio particolare,   non conducono uno speciale genere di vita. La loro dottrina non è il ritrovato dell'attenta indagine di uomini di genio, e non si fanno promotori, come alcuni, di una teoria umana. Disseminati per città greche o barbare, secondo che a ciascuno è toccato in sorte, e uniformandosi alle abitudini locali nel vestire, nei cibi e in ogni altro aspetto del vivere, mostrano come sia meravigliosa e, a detta di tutti, straordinaria le forme della loro vita associata»(2). Certo, rimane il sospetto che la finzione narrativa abbia preso il sopravvento sulla realtà. Un sospetto che preferisce decostruire, falsificare, disincantare, ironizzare... Verbi di un tempo, il nostro, sedotto dall'ipotesi che il mondo vero è, in fondo, una favola, un'abile rappresentazione, e che è inutile tentare di trovare valori umanizzanti, segni di una diversità costruttiva, esperienze capaci di trasformare la realtà(3).

Stranamente, però, la critica ai grandi racconti del passato (e, tra questi, il cristianesimo) non ha provocato l'attesa distanza critica dalle maschere delle ideologie, dal pensiero a senso unico, dalla commercializzazione della vita. Ci ha reso, sì, più attenti alle domande di felicità, giustizia, libertà, ma ha anche rischiato (e in alcuni casi è riuscito) di omologare le possibili risposte. L'effetto è quantomeno contrastante: si preferisce il mondo virtuale, dimenticando gli insegnamenti della realtà; si sceglie l'ebbrezza dell'attimo fuggente rispetto alla fatica dell'attesa e alla pedagogia del progetto; si investe nell'apparenza, in un giocoso andirivieni di emozioni, contatti, desideri. Non si vuole, con questo, negare l'orizzonte di possibilità positive e liberanti che la cultura contemporanea ha fatto emergere. Solo, segnalare alcune ferite, che stanno lacerando la fiducia nella bontà della vita, pseudovalori che giustificano il disappunto nei riguardi del futuro e che, al tempo stesso, appaiono incompatibili con i valori cristiani. Può essere d'aiuto ad uno sguardo critico, leggere quanto l'assemblea mondiale del Consiglio ecumenico delle Chiese, Verso la solidarietà dell'alleanza per la giustizia, pace e integrità del creato(4), indica come la narrazione dominante del mondo d'oggi: una idolatria del profitto e della ricchezza , la cui convinzione, quella di consumare e produrre sempre di più e rapidamente, sta impoverendo l'immagine dell'uomo e creando una disumanizzazione sempre più crudele; un individualismo escludente , che porta ad una cultura dell'emarginazione, del diritto del più forte, della sicurezza come alibi per non incontrare e accogliere l'altro; una tecnocrazia incondizionata , la cui legge è fare ciò che è tecnicamente opportuno e possibile, senza altre considerazioni di carattere umano, né ecologico, tanto a rimetterci sono sempre gli ultimi e coloro che non hanno voce.

Eppure, senza cedere alla logica del sospetto ad ogni costo o alla rassegnazione della decadenza, il cristianesimo può scrivere diversamente la storia dei segni dei tempi, consapevole che il cambiamento di paradigma in atto ha rotto armonie prestabilite, invocando una rimessa a fuoco dell'apparato percettivo. E' inutile nascondere la crisi che sta attraversando lo stesso cristianesimo, segno che un certo modo convenzionale di interpretare e vivere la fede sembra giunto alla fine del suo percorso. Si tratta, senza dubbio, di una crisi di rilevanza che relega il messaggio cristiano in una zona periferica della cultura e del quotidiano, quasi incapace di indicare vie percorribili o risposte «che si danno a domande che nessuno pone»(5). Ma, ancor di più, si è di fronte ad una crisi di identità , che potrebbe essere espressa con la questione se il messaggio cristiano sia capace o meno di una nuova narrazione del mondo . Il punto nodale sta nel rischio di una dimenticanza culturale della fede, che rende distante, perché non significativo, il suo progetto(6). Un dato, però, è importante. La fede cristiana non è al riparo dalla necessità di doversi riformulare, soprattutto se intende suscitare ancora una volta l'interesse per una interpretazione differente dell'esistenza, dell'uomo, della religione, dell'etica. E' una questione di qualità , perché rompe il monopolio del già noto e lascia intravedere, attraverso l'Evento pasquale, l'inedito della genesi dell'uomo, nel sabato della terra e nella creazione di una cultura della solidarietà fondata sul riconoscimento dell'a(A)ltro. «Nel suo stato di crisi salutare non c'è dunque scampo per il cristianesimo se non in questo nuovo confronto con l'Evento che lo ha fatto nascere e che oggi lo interpella nelle profondità dove diventano tenebra le luci della memoria apologetica, dove, insomma, è dato di sentirsi stranieri nella patria cristiana»(7).

E' bene, però, non minimizzare. Riscoprire il Vangelo è un invito ad un pensare altrimenti , che sta stretto in una religiosità di maniera, o dentro una credenza utile al bisogno di credere a buon mercato. Il Vangelo è esso stesso portatore di una critica radicale circa il modo d'intendere Dio, la relazione con la storia, l'etica come spazio di maturazione interpersonale. E' un messaggio interessante, sorprendente, ma anche impegnativo, duro, che può scandalizzare (cf. Gv 6, 60-61. 67), ma che non ambisce alla forza di una qualsiasi ideologia e consiglia una gratuità comunicativa senza misura e, per questo, liberante(8). Anzi, il nostro tempo che segnala l'esigenza di spazi di ricerca e luoghi di confronto, può essere più aperto di quanto non si pensi alla riscoperta del Vangelo. «Forse -scrive C. M. Martini- questa situazione è migliore di quella che esisteva prima. Perché il cristianesimo ha la possibilità di mostrare meglio il suo carattere di sfida, di oggettività, di realismo, di esercizio della vera libertà, di religione legata alla vita del corpo e non solo della mente. In un mondo come quello che viviamo oggi, il mistero di Dio non disponibile e sempre sorprendente acquista maggiore bellezza; la fede compresa come un rischio diventa più attraente. Il cristianesimo appare più bello, più vicino alla gente, più vero. Il mistero della Trinità appare come una fonte di significato per la vita e un aiuto a comprendere il mistero dell'esistenza umana»(9). L'invito, allora, è quello di rendersi disponibili a confrontarsi col fascino di una proposta che può produrre effetti positivi per il mondo, non perché la fede sia così ingenua da pensarsi come una nuova lampada di Aladino. Senza inutili trionfalismi, ma anche senza falsi pudori, può aiutare a scavalcare le lusinghe di chi pensa che tutto è già definito, per il fatto che, nell'apertura di Dio in Gesù e nello Spirito ad ogni essere umano, scuote le evidenze immediate, allarga le speranze limitate, diventa questione aperta per ogni uomo e donna. L'importante è sapersi mettere in cammino, instancabili ricercatori di una verità che non teme l'usura del tempo. «La nostra fede deve avere la sensibilità del nomadismo. Dobbiamo essere nomadi, gli uomini del cammina-cammina, persone che si mettono in viaggio. La fede non è qualcosa di stabilizzato per sempre. A volte noi ci tuteliamo con gli stabilizzatori e siamo sempre uniformi. C'è uno standard nella nostra vita: né un tantino in più, né un tantino in meno. Quella è la caratura. Non ci sono soprassalti, non ci sono stupori, non ci sono sussulti. E' malinconico! Significa non vivere; significa non sperimentare più la gioia del cammino, l'ansia della ricerca, la tribolazione, la difficoltà, la preoccupazione, la paura e poi il soprassalto di gioia quando sperimenti che la strada che stai percorrendo è quella giusta»(10).

NOTE

1. Cf. G. JOSSA , Giudei o cristiani? I cristiani di Gesù in cerca di una propria identità,   Paideia Brescia 2004, 69-172 e la prima parte dello studio di J. RIES , I cristiani e le religioni. Dagli Atti degli Apostoli al Vaticano II , Queriniana-Jaca Book, Brescia-Milano   2006, 3-197.
2. Lettera a Diogneto . Testo greco a fronte, a cura di G. CARRARO - E. D'AGOSTINI , Servitium, Troina 2007. E' uno scriito che risale al 200 d.C.
3. Cf. le riflessioni di S. A RGENTIERI , L'ambiguità , Einaudi, Torino 2008.
4. Il testo si può trovare in Enchiridion OEcumenicorum 5, EDB, Bologna 2001, 2387-2455.
5. W. KASPER , Teologia e Chiesa 2, Queriniana, Brescia 2001, 206. Cf. anche P. HÜNERMANN , Dal Concilio Vaticano II - La Chiesa del futuro , in Annali di Studi Religiosi 8 (2007) 223-236.
6. C. DUQUOC , Fede cristiana e amnesia culturale , in Concilium 35 (1999) 160: «E' accettabile che il legame tra la tradizione che si è materializzata in Occidente e la fede sia così pregnante che l'oblio del suo valore significante si risolva, non provvisoriamente per un effetto di moda, ma strutturalmente, in una svalutazione della fede stessa?».
7. E. BALDUCCI, La terra del tramonto. Saggio sulla transizione , Giunti, Firenze 2005, 149.
8. Così si legge in una pagina molto intensa di D. BONHOEFFER , Sequela , Queriniana, Brescia 1975 4 ,165: «L'idea richiede uomini fanatici, che non conoscono né rispetto una resistenza. L'idea è forte. La Parola di Dio, invece, è tanto debole che si lascia schernire e respingere dagli uomini. Davanti alla Parola i cuori possono indurirsi e le porte chiudersi, e la Parola riconosce l'opposizione che incontra e la sopporta. E' un'esperienza dura: per l'idea non c'è nulla di impossibile, per l'Evangelo, invece, ci sono cose impossibili. La Parola è più debole dell'idea. Perciò anche i testimoni della Parola sono, con questa Parola, più deboli dei propagatori. Ma in questa debolezza essi sono liberi dalla morbosa irrequietezza dei fanatici; infatti essi soffrono con la Parola. [...] Se volessero imporre la Parola in ogni modo, con ogni mezzo umano, essi muterebbero la Parola vivente di Dio in idea, ed il mondo a ragione si opporrebbe a un'idea che non gli serve a nulla Ma proprio come testimoni deboli fanno parte di coloro che non cedono, ma rimangono - certo solo lì dove è la Parola. [...] Eppure questa Parola così debole, che subisce l'opposizione del peccatore, è l'unica parola forte, misericordiosa».
9. C. M. MARTINI , Quale cristianesimo nel mondo postmoderno , in Avvenire , Agorà, 27 luglio 2008, 5.
10. A. BELLO , Senza misura , Edizioni la meridiana, Molfetta 1993, 20.