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Religioni, Dizionario di Ecclesiologia
di Carmelo Dotolo

SOMMARIO: 1 L’incontro con le religioni; 2 Dai ‘semi del Verbo’ alla questione della ‘vera religione’; 3 Verso il Concilio Vaticano II; 4 Modelli di lettura teologica del pluralismo religioso; 5 Pluralismo religioso e riflessione teologica; 6 L’universalità del messaggio cristiano; 7 La missione della Chiesa tra annuncio e dialogo.

1 L’incontro con le religioni

Alcuni anni or sono, il teologo H. R. Schlette esprimeva l’urgenza del confronto tra cristianesimo e religioni non cristiane scrivendo: «L’interesse per le grandi religioni non cristiane è divenuto più forte nei tempi più recenti. Si conosce sempre più la complessa struttura e la trascendenza dei problemi, e, se le apparenze non ingannano, se ne prenderà maggiore coscienza in futuro. Prima della seconda guerra mondiale, le religioni erano appena oggetto di investigazione da parte di alcuni ierologi, etnologi e missionologi. Se oggi le religioni non cristiane attirano l’attenzione di diverse discipline scientifiche e della stessa opinione pubblica, ne segue, per quel che riguarda il nostro argomento, che anche la teologia e la fede sono obbligate a prendere posizione di fronte alle religioni» (H. R. Schlette, Il confronto con le religioni, 51). Orbene, uno dei tratti più significativi del cambiamento epocale che stiamo vivendo, è l’incontro sempre più ampio e articolato tra differenti religioni. E’ vero che tale fenomeno non è nuovo nella storia dell’umanità, ma la situazione contemporanea esprime l’esigenza di affrontare la questione della pluralità con un’attenzione diversa e con nuovi interrogativi. L’esperienza del ‘pluralismo religioso’, infatti, esige un ripensamento nella riflessione teologica e nella prassi delle comunità ecclesiali. Il motivo è che in tale orizzonte, è coinvolta l’identità delle diverse fedi religiose, e il pluralismo religioso mette in gioco la necessità di riesaminare, da parte delle religioni, le rispettive prospettive, fino all’ipotesi di elaborare un nuovo modo di essere credenti che nasca dall’incontro e dalla capacità di operare delle scelte riguardo la propria fede. Di fronte alla presenza di religioni altre e, per certi aspetti, differenti, il credente, mentre si interroga sulla propria identità, percepisce che le domande che provengono dall’universo delle religioni interpellano la comprensione che il cristianesimo ha di se stesso. Sembrerebbe, infatti, che la pluralità delle religioni smonti la convinzione e la pretesa della universalità che il cristianesimo ha sempre rivendicato, relegandolo ad essere una religione tra le tante. Scivolare su posizioni di indifferentismo, per cui tutte le religioni sono ugualmente vere, o di relativismo, in base al quale nessuna è vera, non porta ad alcun esito, perché evita di confrontarsi sui criteri che rendono vera una religione: criteri teologici, antropologici, etici. Di fronte a una simile situazione, la riflessione teologica è chiamata a un triplice compito, come evidenzia il documento del 1997 della Commissione Teologica Internazionale, Il cristianesimo e le religioni, 7: «In primo luogo il cristianesimo dovrà impegnarsi a comprendere e valutare se stesso nel contesto di una pluralità di religioni; dovrà riflettere in concreto sulla verità e universalità che esso rivendica. In secondo luogo dovrà cercare il senso, la funzione e il valore proprio delle religioni nella totalità della storia della salvezza. Infine la teologia cristiana dovrà studiare ed esaminare le religioni concrete con i loro contenuti ben definiti che dovranno essere posti a confronto con i contenuti della fede cristiana».
La questione inizia ad esigere una diversa impostazione, già a partire dagli studi del XIX e XX secolo sul concetto di religione e sulla rilevanza delle religioni nell’organizzazione culturale ed esistenziale di differenti popoli. Tali studi hanno modificato progressivamente l’approccio e la valutazione dell’universo religioso, invitando lo stesso cristianesimo ad una modulazione più articolata della propria riflessione. In tal senso, risulta emblematica la figura e l’opera di E. Troeltsch (1865-1923), considerato uno dei maggiori esponenti della teologia protestante, promotore dell’importante enciclopedia teologica più volte edita Die Religion in Geschichte und Gegenwart (La religione nella storia e nel presente, 1909-1913). Preoccupazione del suo lavoro era quello di delineare la differenza del cristianesimo rispetto alle pretese veritative e salvifiche delle altre religioni, ponendo una questione decisiva: come si può fondare teologicamente «la validità del cristianesimo entro il flusso del generale sviluppo storico della religiosità e di fronte alle del tutto simili pretese di validità presentate dalle altre grandi religioni nonché dalle concezioni filosofiche o dalle religioni fondate sull’autonomia della ragione?» (E. Troeltsch, L’assolutezza del cristianesimo e la storia delle religioni, Morano, Napoli 1968, 200). Ora, la risposta potrebbe apparire semplice: il cristianesimo condivide con le altre religioni il compito di mostrare all’uomo il senso della salvezza e della multiforme esperienza di Dio, al di là delle differenze storiche e culturali. Eppure, tale soluzione non sembra essere sufficiente, perché urta una convinzione presente nella storia del cristianesimo stesso: esso afferma che la rivelazione comunicata in Gesù Cristo costituisce la condizione per comprendere la specificicità dell’esperienza religiosa. In altri termini, se si riconosce una valenza positiva alle religioni nell’economia della rivelazione e della salvezza, quale deve essere la loro relazione con Cristo e con la Chiesa? Non c’è il pericolo di cadere in un relativismo generalizzato a livello teoretico e perfino dannoso a coloro i quali intendono aprirsi ad un vero dialogo? Inoltre, se c’è salvezza anche nelle altre religioni, è evidente che si pone la questione su quale deve essere la funzione specifica della Chiesa e del cristianesimo. Si intuisce tutta la delicatezza degli interrogativi emergenti, che non può essere liquidata rinviando alla misteriosità della questione, a motivo del fatto che tocca il senso stesso dell’evento cristiano. In questo quadro, è opportuno procedere delineando un’identità cristiana aperta, capace di lasciarsi provocare dalle sfide provenienti dalle altre religioni e di sfidare, a sua volta, con il fascino del suo messaggio e della prassi. Una simile scelta esige che il cristianesimo assuma la verità del suo essere religione non da un concetto mutuabile da una tradizione o area culturale, ma dalla concreta forma che la persona di Gesù Cristo le ha conferito. Il problema, in definitiva, si pone in questo modo: «in che modo il cristianesimo potrà mantenere la sua identità e unicità e al tempo stesso riconoscere alle altre religioni, e in senso non discriminatorio, un valore positivo? Ciò che qui importa innanzitutto non sono gli elementi comuni alle tante religioni, ma piuttosto quel che costituisce la loro diversità, la loro unicità e peculiarità. In tal caso si potrà mostrare nel cristianesimo stesso il fondamento su cui poggia questo rapporto cristianamente nuovo, aperto e non trasferibile alle altre religioni mondiali» (E. Schillebeeckx, Umanità la storia di Dio, Queriniana, Brescia 1992, 218).

(tutto il testo è disponibile in formato pdf)